La scrittrice Virginia Woolf in un ritratto giovanile

Godersi la vita, non liberarla. La lezione di Virginia Woolf alle femministe snob

Simonetta Sciandivasci
La scrittrice protofemminista che ci viene servita per l'8 marzo o affini momenti di aggregazione e riscatto di genere, non avrebbe condiviso le sue letture di donne con altre donne e, soprattutto, non sarebbe stata felice di essere assurta a esempio di seriosa femmina pensante.

"Sono una snob da blasoni; da salotti sfavillanti; da feste del bel mondo". Quando la sua amica Molly McCarty le chiese di tenere un discorso per il Memoir Club, nel 1936, Virginia Woolf accettò e si produsse in una lunga riflessione sul suo amore per le apparenze, i vestiti, i reggicalze (sebbene la imbarazzasse tanto comprarli), gli stemmi, il portamento, le lusinghe (purché riguardassero "il mio aspetto di donna più che la mia reputazione di scrittrice"). La "scrittura delle donne" che dovremmo recuperare non per nostalgia, bensì per assicurarci un futuro, ha scritto Donatella Di Cesare sul Corriere della Sera, in un pezzo guastafeste dell’otto marzo, comprende anche Virginia Woolf, insieme alle immancabili Jane Austen, sorelle Bronte, Emily Dickinson (chissà perché Marguerite Yourcenar è sempre fuori dal cerchio magico della letteratura femminile, neanche avesse scritto di jazz per tutta la vita). Solo leggere le loro parole, secondo Di Cesare, ci salverà dagli avvilenti esiti cui sta traghettandoci il “vivere nell'epoca delle immagini” (che però dura più o meno dal 700 dopo Cristo, cioè dalle prime formulazioni del pensiero iconoclasta, la cui prima nemica fu proprio una donna, l'imperatrice Irene). Ovvero: attrici, cantanti, modelle, star di YouTube, blogger sono prese a esempio molto più di politiche o attiviste, dal canto loro incapaci di “unire e mobilitare con un messaggio coinvolgente”, come faceva Angela Davis. Una situazione della quale i social network, sempre secondo Donatella Di Cesare, sono il termometro.

 

A parte il vizio di forma dell'esaminare la “società delle immagini” attraverso i mezzi delle immagini, senza il minimo scrupolo che, forse, sarebbe necessaria un'analisi più approfondita, la filosofa ed editorialista  tralascia le centinaia di esempi di signorine che usano la letteratura femminile, su internet, proprio nel modo in cui auspica lei e cioè per rifondare un pensiero femminista / femminile / femmina / femmino che sia ispirante, liberante, sublimante, partendo proprio dai suoi testi sacri: una su tutti è Emma Watson con il suo Book Club Femminista, lanciato a gennaio scorso. Emma, che attivista politica non è: fa l'attrice, quindi è membro di una delle categorie che secondo Di Cesare non hanno tutte le carte in regola per riempire il “vuoto d’ispirazione lasciato libero dalla politica”. Club virtuali, forum, gruppi di discussione, rielaborazione, autocoscienza: internet ne pullula.

 

Virginia Woolf, che rivendicava, per la lettura e la scrittura, per il pensiero e la fantasia, per le paranoie e la noia, una stanza tutta per sé, una stanza per ogni donna come diritto inalienabile e che però non è solo la scrittrice protofemminista che ci viene servita per l'8 marzo o affini momenti di aggregazione e riscatto di genere, ma soprattutto una capace di scrivere pagine vibranti sull'importanza di appassionarsi a una matita, a una tapparella, non avrebbe messo piede in un club virtuale o reale, non avrebbe condiviso le sue letture di donne con altre donne e, soprattutto, non sarebbe stata felice di essere assurta a esempio di seriosa femmina pensante. Quella sera del 1936, davanti a un pubblico che era composto di “persone come me, cui non succede mai niente” (dunque non proprio attivisti), Virginia Woolf disse anche che, se le avessero chiesto di scegliere chi incontrare, tra Einstein e il principe di Galles, lei avrebbe scelto il secondo, senza esitazioni. Confessò che le recensioni negative ai suoi libri non la toccavano, ma che un commento negativo sulla sua grazia, sui suoi modi, sui suoi vestiti l'avrebbe annientata. Che la onorava essere invitata per il tè non da chi volesse gloriarsi della compagnia di una scrittrice celebre, ma della sua amabile capacità di chiacchierare di tutto, trattenendo il niente.

 

Virginia Woolf amava il mondo frivolo perché era un mondo libero: il solo dove il tempo si gettava senza rimpianto, il solo dove per essere avventuriere forti, indipendenti e “oggetti d’inesauribile e avvincente inquietudine” era sufficiente ricordare la commozione arrecata dall'alba. Virginia Woolf, probabilmente, avrebbe intuito e ammirato il fascino della prorompente vitalità di Belen Rodriguez, avrebbe ambito a pomeriggi con lei e non perché l'emancipazione femminile stia tutta nell'accogliere nell'empireo delle donne intellettuali anche quelle che non lo sono, ma perché Virginia Woolf voleva godersela, la vita, non liberarla: femminista o meno che sia, è questo il vuoto che ancora non abbiamo colmato.

 

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