Il quindicesimo schiaffo di Incalza
Roma. No, aspetta, è successo di nuovo. Per la quindicesima volta. Ercole Incalza vorrebbe sorridere ma non riesce. Pallido e ossuto, non è più abituato a sorridere. “Di cosa dovrei gioire? Se penso alla sofferenza patita in tutti questi anni, quindici inchieste e quindici assoluzioni, e la confronto con la gioia di queste ore, il bilancio è inevitabilmente negativo”. E’ successo di nuovo. Ieri il gup di Firenze Alessandro Moneti ha prosciolto il “ras del ministero di Porta pia” (copyright Fatto quotidiano). Per lui, come per l’altro dirigente del ministero Giuseppe Mele, la vicenda si chiude ancor prima del processo. Ancora una volta. Erano entrambi accusati di essersi prodigati, come dirigenti dell’unità di missione del ministero delle infrastrutture, per bypassare vincoli e autorizzazioni paesaggistiche relative ai lavori della Tav di Firenze. La pubblica accusa si era spinta fino a contestare a Incalza l’associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e all’abuso di ufficio. Il gup ha respinto ogni addebito rinviando invece a giudizio il “ramo politico” dell’inchiesta legato a Maria Rita Lorenzetti, presidente di Italferr.
Nel suo appartamento romano Incalza è seduto alla sua scrivania, intento a scrivere il suo secondo libro (anticipazione del titolo: “Programmare e/è pianificare”). Poco dopo le tre del pomeriggio squilla il telefono, all’altro capo del filo c’è l’avvocato Tita Madia: “Prosciolto. Siamo a quindici!”. Si scherza anche se non è uno scherzo. Quindici inchieste e quindici assoluzioni. Sarà pure vero che uno deve difendersi “nel processo” e non “dal processo”, ma fino a che punto? E a quale prezzo? “Ragiona così soltanto una persona che non abbia mai avuto a che fare con i tribunali. Il processo è in sé una pena. E ancora prima del processo sono una pena le indagini, i controlli, la tua libertà che si restringe. Smetti di essere una persona libera. E poi c’è l’arresto”. All’ingegnere Incalza, 72 anni, è capitato anche questo. Lo scorso marzo i carabinieri hanno suonato al campanello attorno alle cinque del mattino, e lo hanno arrestato. Diciannove giorni a Regina Coeli, oltre due mesi ai domiciliari. “Ancora oggi mi chiedo perché. Perché mi hanno fatto questo, che bisogno c’era. E’ una macula che resterà per sempre nella mia vita”. L’arresto è stato disposto nell’ambito dell’inchiesta Grandi opere: secondo l’accusa, Incalza dalla famigerata unità tecnica di missione, avrebbe favorito l’ingegnere Stefano Perotti nell’affidamento delle direzioni lavori in cambio di tangenti. “Peccato che i soldi che io avrei intascato non siano mai stati trovati. E’ facile misurare il mio tenore di vita, hanno controllato i conti, sanno tutto. Il carcere però potevano risparmiarmelo”.
Dopo due anni di indagini la procura di Firenze non ha formulato ancora una richiesta di rinvio a giudizio. “Le prove granitiche che hanno spinto all’arresto avrebbero giustificato almeno un giudizio immediato. Invece niente, si brancola nel buio”, commenta l’avvocato Madia. Incalza si stringe nelle spalle, la figlia Antonia lo sorregge e colma l’assenza della moglie scomparsa. “I giornali mi hanno trattato come il peggior criminale. Ma io so quello che ho fatto. Quest’anno ricorrono i trent’anni del Piano generale dei trasporti. L’ho realizzato io. Ho seguito la realizzazione di infrastrutture per un valore di 74 miliardi di euro. Mi dicano gli altri quello che hanno fatto per questo Paese”. Strade, autostrade, treni, alta velocità, metropolitane: è impossibile raccontare la storia delle infrastrutture degli ultimi cinquant’anni senza incrociare il nome di Ercole Incalza. “La verità è che io sono una persona scomoda per i professionisti del no, per quelli che costruiscono il consenso sull’opposizione alla modernità. La Roma-Milano in tre ore ha cambiato la vita degli italiani più di cento meet-up”. I grillini ci sono andati giù duro. “Mi crocifiggono perché un’opera forse sarebbe costata il 10 per cento in più. Pure fosse vero, io dico: vivaddio, almeno esiste”. Qualche consiglio per chi adesso ricopre il suo incarico in ministero? “Che continui a inseguire il progresso senza lasciarsi intimidire. Bisogna avere coraggio e andare avanti, guai a sprecare il tempo. Io, nonostante tutto, continuo a credere nella giustizia”.
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