Narcisista, io?
Essere auto ossessionati, perseguitati da noi stessi, non ci pesa. Il venti per cento della popolazione mondiale pubblica dettagli della sua vita ogni giorno, più volte al giorno, su Facebook, ma tre miliardi e mezzo di like, per l’intera umanità sui social media, non bastano: passiamo ore a pensare alla frase adatta, o al profilo migliore, alla porzione di bikini più innocente ma al tempo stesso maliziosa, alla didascalia più accattivante. Poi restiamo in attesa dell’applauso del mondo. Lo vorremmo scrosciante, fragoroso, commosso. Controlliamo decine di volte al giorno lo stato del nostro profilo. Negli ultimi dieci anni ci siamo abituati a rimirarci in questo fiume, l’immagine che riflette è sempre eccitante ma legata al consenso. Instagram, Twitter, Facebook, sono gli specchi dentro cui sfoghiamo l’amore per noi stessi. Ci servono followers, cuoricini, approvazione, richieste di amicizia, ci serve che il maggior numero possibile di persone apprezzi i nostri gusti musicali, le nostre indignazioni per gli orrori del mondo, la critica cinematografica al film della sera prima, perfino i lutti, le cattive notizie, le liti con amicizie mai incontrate ma consumate in modo ardente sui social.
In America sono aumentati notevolmente i disturbi narcisistici della personalità, e molti studiosi sostengono un collegamento diretto fra questo impazzimento del nostro ego e la finestra che teniamo sempre aperta sul mondo da telefoni e computer. Siamo diventati narcisisti a causa di Facebook? Un’umanità modesta, e interessata al prossimo più che a se stessa, a poco a poco è impazzita perché Mark Zuckerberg le ha proposto di rintracciare i vecchi compagni di liceo grazie a un social network. Non può essere. Secondo il Guardian, il narcisismo segreto, sotterrato, imbarazzato che tenevamo nascosto dentro lo specchio del bagno, o ad esempio dentro i ritratti di se stesso che Vincent van Gogh dipingeva con furia, ha trovato una strada semplice, un detonatore. I social media sono il fiume verso cui ci sporgiamo per specchiarci, per baciare il broncio dell’ultima foto messa su Instagram, per applaudire il nostro senso dell’umorismo o anche la fermezza nel condannare certe orribili azioni altrui, e spesso in effetti, a furia di sporgerci per toccarci, cadiamo nel fiume. Ma cadere è come naufragare, ed è dolce, ed è sempre meglio che stare da soli in una stanza a sfogare pensieri e rancori contro il muro. Il pubblico, l’approvazione, la scoperta di un mondo almeno parzialmente interessato a noi, hanno salvato molte vite, hanno guarito depressioni e solitudini, regalato euforia e appuntamenti quotidiani. Forse perfino Van Gogh avrebbe trovato interessante questo Facebook, e ci si sarebbe specchiato dentro.
Il Foglio sportivo - in corpore sano