Utero in affitto, come volevasi dimostrare
Quando la scuola era ancora la scuola, si andava alla lavagna e dopo averla riempita di formule e cifre ci si girava verso la professoressa con le fatidiche parole: “Come volevasi dimostrare…”. Ora che, dopo tante polemiche e tante presunte precisazioni e limitazioni concettuali e procedurali la legge sulle unioni civili è stata approvata – ma “senza” la stepchild adoption –, interrogati alla lavagna della cronaca non resta che ripetere l’antica formula: “Come volevasi dimostrare”. Che potrebbe suonare anche come un più banale: ve l’avevamo detto. Il tribunale dei minori di Roma lo scorso 31 dicembre – i giudici sono sempre avanti rispetto al Parlamento, signora mia – ha emesso una sentenza “storica”, riconoscendo l’adozione (i famosi “casi particolari”, previsti dall’articolo 44 della legge 184) di un bambino a una coppia di uomini. I quali, va da sé, il bambino lo hanno ottenuto grazie a una maternità surrogata (utero in affitto non lo si può dire, no, ché tutti sono contro l’utero in affitto) in Canada, sei anni fa.
E’ la prima volta per una coppia di “papà”, e anche la prima volta in cui la sentenza non viene appellata dalla procura minorile, dunque è definitiva. La coppia di professionisti romani, che aveva fatto richiesta di adozione nel giugno 2015, non è la prima a vedersi riconosciuto il diritto, ci sono già state due coppie di “mamme” ad aver affrontato l’iter. La novità giurisprudenziale è che in questo caso l’iter è già concluso e la sentenza immediatamente esecutiva. La stepchild adoption che normalizza un figlio nato attraverso una pratica in Italia ancora vietata e che la recente legge Cirinnà ha escluso – e tutti hanno a parole escluso – è oggi una realtà a tutti gli effetti. Non è nemmeno il caso di specificare che il tribunale dei minori di Roma ha così deciso nel superiore interesse del bambino, cioè quello di rimanere con i due “papà” che lo hanno generato e finora cresciuto.
Il “come volevasi dimostrare” di cui sopra, non è ovviamente una messa in discussione del “superiore interesse” del bambino, come formalizzato dalla legge sulle adozioni, e nemmeno del buon cuore e dei sentimenti (stabili) dei due uomini. Vuole essere semplicemente un modo per ribadire quanto da questo giornale – e non solo da noi – più volte sostenuto. E cioè che la normalizzazione ope legis della stepchild adoption per le coppie omosessuali – in natura non in grado di procreare – avrebbe aperto la strada alla maternità surrogata, per quanto non ammessa dalle leggi italiane e attorno alla quale è tuttora in corso un dibattito politico e scientifico. E soprattutto che in assenza di un confronto culturale serio e di una decisione politica chiara (un referendum, sì) a decidere alla fine sarebbero stati i giudici. Molto democratico.
Il Foglio sportivo - in corpore sano