17 aprile - Sì Triv
Il rischio della stangata dei No Triv alle casse pubbliche
Roma. Mentre gli ambientalisti aspettano il referendum del 17 aprile contro le trivelle operanti lungo le coste italiane (sperando vinca il “sì”), lo stato e gli enti locali si ritrovano le casse sempre più vuote proprio a causa del calo della produzione e del prezzo del greggio. Secondo i dati del ministero dello Sviluppo economico, nel 2015 il gettito delle royalty versate dalle compagnie petrolifere all’erario, alle regioni e ai comuni, è diminuito di circa 50 milioni di euro, attestandosi a 352 milioni, rispetto ai quasi 402 del 2014. Il calo del gettito è addirittura di 68 milioni di euro, se paragonato al 2013. Lo stato ha così incassato quasi 16 milioni di euro in meno (55, dai quasi 71 del 2014), le regioni hanno perso 19 milioni (da 182 a 163) e i comuni quasi tre (da 29 milioni a 26,4). Meno soldi anche al fondo per lo sviluppo economico e per la social card (76 milioni, da 85,6) e all’aliquota per l’ambiente e la sicurezza (31,4 da 33,9). In questo quadro, la compagnia di stato Eni ha versato 227,5 milioni di euro, contro i 258,7 del 2014; Shell 94,4 milioni da 106,8; Ionica Gas 17,1 milioni da 19,4; Edison 9,9 milioni da 10,2; Società Adriatica Idrocarburi 1,4 da 2,9; Eni Mediterranea Idrocarburi 815 mila euro da 2,3 milioni; Gas Plus 700 mila euro da 900; Società Padana Energia 286 mila euro da 534; e infine Medoilgas Italia non ha versato nulla, a fronte dei 230 mila euro dell’anno prima.
La regione che ha incassato di più è la Basilicata, capofila del fronte No Triv, che ha visto il gettito diminuire da 159 a 143 milioni di euro. Seguono Emilia Romagna (7 milioni da 7,5), Calabria (6 milioni da 7,6), Puglia (3 milioni da 4,2), Sicilia (860 mila euro da 1,5 milioni), Piemonte (629 mila da 1,3 milioni), e Marche (65 mila da 614). Le uniche due regioni che hanno visto aumentare il gettito sono Abruzzo (317 mila da 208) e Molise (1,4 milioni da 905 mila euro). Insomma, una bella stangata, e ben presto la situazione potrebbe anche peggiorare: se al referendum di aprile dovesse vincere il “sì”, tutti gli impianti off shore che si trovano a ridosso delle coste dovranno chiudere tra cinque o dieci anni, fermando quindi la produzione. Di conseguenza, il gettito proveniente dalle royalty calerebbe ancora. Potrebbe, poi, essere delusa anche la speranza delle regioni di rimpinguare un po’ le casse grazie alla recente sentenza della Cassazione che ha sancito il principio secondo cui le compagnie devono versare l’Imu/Ici. Parliamo di 100 piattaforme che dovrebbero pagare in tutto almeno 2 miliardi di euro. La questione è però più complicata, e a sostenerlo è il vice ministro dell’Economia, Enrico Morando: per applicare la sentenza “serve una legge”, perché la legge di Stabilità di quest’anno ha escluso i macchinari imbullonati dalla stima del valore catastale. “La questione dell’assoggettabilità all’Imu e all’Ici delle piattaforme petrolifere presenta diverse problematiche che non appaiono risolvibili attraverso la semplice applicazione dei princìpi della sentenza della Cassazione”, ha detto Morando. Difficile quindi che a breve le regioni possano riscuotere la sospirata imposta comunale.
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