“Carceri meno affollate, ma occorre un diverso modello di detenzione”
Roma. A tre anni di distanza dalla condanna europea per aver sottoposto i detenuti “a trattamenti inumani e degradanti” a causa del sovraffollamento carcerario, le misure intraprese dall’Italia per risolvere il problema – definito “sistemico”, e non occasionale – sono state giudicate positive dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Figura chiave di questo risultato è Mauro Palma, consigliere per le Politiche penitenziarie del ministro della Giustizia Andrea Orlando, recentemente nominato Garante nazionale dei diritti delle persone detenute. Palma era stato prima membro e poi presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e del Consiglio europeo per il coordinamento dell’esecuzione penale, e nel 2013 è stato messo a capo della Commissione creata ad hoc per ridurre, il più rapidamente possibile, i numeri della detenzione. Schivo ma combattivo, accoglie il risultato di Strasburgo con soddisfazione, “anche se i problemi dei detenuti non si misurano a metri quadri. E ora spero che si apra una fase riformista”, dice Palma in un’intervista con il Foglio. Ma è possibile che l’Italia – come ha detto il ministro Orlando – da paese simbolo del sovraffollamento delle carceri, possa trasformarsi in modello per altri paesi? “L’insieme di provvedimenti normativi adottati e i primi balbettanti passi italiani per cambiare il modello detentivo hanno convinto Strasburgo”, dice Palma. “Abbiamo ridotto i numeri. Ma i numeri sono condizione necessaria e non sufficiente per dichiarare che una situazione è accettabile. Se un detenuto dorme in una cella che non è più sovraffollata, ma non ha nulla da fare durante il giorno, il sistema non sta aiutando il suo reinserimento nella società”.
Nel 2013 è stato stilato un piano d’azione operativo: “Ci siamo basati su quattro linee guida. La prima riguardava la rimozione, sul piano legislativo, di tre leggi alla base dell’incremento della popolazione carceraria: la Bossi-Fini sull’immigrazione, la Fini-Giovanardi in materia di stupefacenti, e la ex Cirielli, che non permetteva misure alternative alla detenzione per i recidivi, indipendentemente dalla gravità del reato. La seconda direttrice riguarda l’incremento delle misure alternative: nel 2013 avevamo 66 mila detenuti contro 19 mila persone in strutture esterne, oggi siamo a 52.800 detenuti e quasi 35.000 persone in misure alternative. Infine, è stata prevista una forza giurisdizionale per i ricorsi: il reclamo va fatto al magistrato di sorveglianza, che ha il potere di agire”. Secondo Palma, l’introduzione di rimedi risarcitori per chi ha subìto una lesione di diritti in passato è confortante, ma c’è ancora da fare su un punto: “Il modello di vita all’interno del carcere. Il sistema italiano è passivizzante, dispendioso, con alti tassi di recidiva. Il detenuto è trattato come un bambino, che deve solo rispettare le regole. Se un sistema non mette il soggetto detenuto nelle condizioni di assumersi responsabilità, esso non genera sicurezza. Occorre cambiare una serie di regole della quotidianità”, dice Palma.
Altra questione è quella della presenza di bambini in carcere, sotto la custodia attenuata delle madri: “Ritengo impensabile che non si riesca a risolvere il problema. Inoltre, ogni anno sono ottantamila i minori che varcano la soglia di un carcere per visitare i genitori. Per molti si tratta del primo rapporto con un’istituzione. Andrebbe prevista per i piccoli un’accoglienza specifica, che non sia terrorizzante, ma il più possibile umana. Non va dimenticato che, fatta esclusione per peculiari profili criminali e reclusi in alta sicurezza, l’80 per cento della popolazione carceraria è connotato da grande marginalità sociale, e ci sono forti problemi di alfabetizzazione. Anche sul tema del lavoro penitenziario i risultati sono lievemente incoraggianti, ma distanti dall’essere soddisfacenti. Spero che gli sforzi di questi mesi svolti dagli Stati generali dell’esecuzione penale, che hanno visto dialogare soggetti con visioni molto diverse, portino i suoi frutti. Stiamo per liquidare un documento che ha lo scopo di ispirare il legislatore. Esprimerà la volontà di intervenire su un diverso modello di detenzione”, conclude Palma.
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