Appunti per la procura di Potenza: lobbying è democrazia. F.to Petrillo
Roma. Il petrolio ci fa orrore, è roba da rozzi texani che inseguono la ricchezza e rifuggono dalla povertà. Meglio tenersi la Basilicata coast-to-coast, pil pro capite sotto i 18 mila euro l’anno, campagna brulla e criminalità pronta a elargire “sussidi” ai prossimi disoccupati. Il petrolio non è roba nostra, la lobby dell’oro nero è vorace e corruttrice. Gli americani definiscono il lobbying as American as apple pie, americano come una torta di mele: protetto dal Primo emendamento, fa parte del Dna nazionale. Al di qua dell’oceano invece sogniamo un mondo lobby-free. Zero portatori d’interesse, zero mediazione con i soggetti coinvolti. Il Grande legislatore, che tutto sa e tutto dispone, rinchiuso nelle segrete stanze, comunica ai sudditi la legge bell’e fatta. Applausi. E’ forse democrazia questa? Lo abbiamo chiesto a Pier Luigi Petrillo, professore di Teorie e tecniche del lobbying alla Luiss Guido Carli di Roma. “Negli articoli scandalizzati di questi giorni leggo che ci sarebbero addirittura emendamenti che entrano ed escono dai testi in commissione, un ministro ne caldeggerebbe uno e un collega un altro, roba da non credere. Basterebbe un manuale di diritto parlamentare: avviene così dappertutto. Nelle democrazie occidentali il procedimento decisionale si svolge mediante la composizione di interessi concorrenti. Poi uno può sempre ispirarsi alla Corea del nord…”.
Avete capito come la pensa, il prof. Petrillo sull’affaire Guidi è tranchant. “Il traffico di influenze illecito è un reato biunivoco, coinvolge due soggetti: colui che esercita pressione sul pubblico ufficiale affinché commetta atti contrari ai doveri d’ufficio, e il pubblico ufficiale che acconsente. Le ipotesi sono due: o Guidi è indagata ma non lo sa oppure, se non è indagata, il reato non sussiste. Mi lasci aggiungere che parliamo di una multinazionale, la Total, che investe milioni di euro in un sito italiano. Il ministro ha il dovere istituzionale di incontrare i suoi rappresentanti”. Il premier Renzi ha rivendicato la paternità dell’emendamento che peraltro non assegna ai petrolieri concessioni o soldi pubblici ma introduce l’autorizzazione unica contro le lungaggini burocratiche. “Io non sono renziano ma ho apprezzato il modo in cui il premier ha incarnato la parola inglese accountability al cospetto dell’autorità giudiziaria. Sbloccare l’Italia è la priorità”. Sullo sfondo divampa la polemica sulla necessità di regolamentare il fenomeno lobbistico. “Si è introdotto il reato di traffico, che descrive il lobbying illecito, senza tracciare prima i confini del lobbying lecito”. Da direttore dell’Ufficio per la trasparenza del ministero dell’Agricoltura, governo Monti, Petrillo si fece paladino del primo registro pubblico dei lobbisti. “400 soggetti, da Vodafone a Enel, s’iscrissero al registro osteggiato invece dalla triplice sindacale – Coldiretti, Confagricoltura e Cia – che pretendeva l’esclusiva assoluta. Poi arrivò il ministro De Girolamo e lo soppresse”. Durante il governo Letta Petrillo, insieme all’allora segretario generale di Palazzo Chigi Roberto Garofoli, coordinò un gruppo di lavoro per l’ennesima proposta destinata a cristallizzarsi in un decreto della presidenza del Consiglio. “A 24 ore dal Cdm sembrava fatta, poi all’ultimo saltò tutto”. Attualmente in commissione Affari costituzionali del Senato sostano dodici ddl in materia di lobbying. “I testi Nencini e Puppato contengono innovazioni positive ma, come ho detto nell’audizione pubblica, rischiano di introdurre una iper-regolamentazione di difficile applicazione. Ho suggerito un bagno di realismo. Non serve l’ennesimo albo professionale, io li abolirei tutti. Basterebbe introdurre un registro, sul modello europeo, fissando criteri di accesso trasparenti. Il decisore pubblico dovrebbe essere obbligato a tenere un’agenda conoscibile degli incontri con i portatori di interesse. Le lobby non dovrebbero finanziare le campagne elettorali”.
La situazione odierna è la giungla: a ogni inizio legislatura i questori delle Camere decidono discrezionalmente chi può accedere ai palazzi e chi no. Vi è inoltre una disparità tra le aziende private e quelle pubbliche o a partecipazione pubblica: le seconde sono obiettivamente avvantaggiate dalla vicinanza al potere politico. “L’Ocse invoca la regolamentazione al fine di assicurare la concorrenza su un piano di parità. Basterebbe un dpcm: se il premier vuole, si fa”, spiega ancora Petrillo. Ultimo cruccio: la tempistica dell’inchiesta lucana a due settimane dal referendum sulle trivelle, pura casualità? “E’ inquietante. Non hai Fukushima e allora trovi un degno surrogato”.
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