Regia di un risiko finanziario
Che ruolo gioca Guzzetti nel grande labirinto dei salvataggi bancari
Roma. Quando negli Ottanta era senatore della sinistra di base democristiana, la corrente di Giovanni Marcora, lo si poteva osservare, nell’ombra agitata della commissione finanze di Palazzo Madama, impegnato a sfogliare con pignoleria le previsioni di bilancio dell’allora ministro Paolo Cirino Pomicino: leggeva e sbuffava, sottolineava e chiedeva, con quell’aggressività ironica e brutale che non ha mai perso: “E i soldi, di grazia, i soldi da dove si prendono?”. Testa ordinata un po’ scolasticamente e linearmente, forse d’una rigidezza da manuale, Giuseppe Guzzetti, ottantaduenne, il più politico dei banchieri o forse il più banchiere dei politici, modico all’apparenza e nel parlare, sfogliando le cifre, le tabelle e i numeri di Pomicino, manifestava scetticismo e fastidio per quello che doveva apparirgli come un fantasioso, allegro, forse anguillesco (dunque storto) sforzo di finanza creativa. E non ha infatti sorpreso nessuno quando Guzzetti, martedì mattina, a Palazzo Chigi, con il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, il governatore di Bankitalia Ignazio Visco, i vertici di Cassa depositi e prestiti Claudio Costamagna e Fabio Gallia, circondato com’era anche dai collaboratori di Matteo Renzi, ha manifestato, con la solita franchezza ruvida, tutto il suo spigoloso dubitare sulle manovre e le ambizioni del governo che vorrebbe far intervenire Banca Intesa, e forse la Cassa depositi e prestiti, in salvataggio del Monte dei Paschi. Lo si può quasi immaginare, mentre dice, nel tono d’una didattica impazienza: “E con i crediti deteriorati di Mps, di grazia, con i crediti deteriorati di Mps cosa ci dovremmo fare?”.
E insomma trent’anni fa, come oggi, quest’uomo anziano e dal pizzetto risorgimentale, lui che si fa chiamare avvocato ma non pare abbia mai esercitato la professione, lui che è presidente “a vita” della fondazione Cariplo, che è azionista di Intesa, che è presidente dell’associazione delle fondazioni bancarie, che è infine da sempre un passo accanto (o dietro) Giovanni Bazoli, oggi come trent’anni fa esprime le sue spigolose riserve per la fantasia di Renzi e del suo giovane governo, per quella che deve apparirgli come una facile attitudine a tagliare le gambe ai problemi lunghi e ad allungarle a quelli corti, roba da irridenti e approssimativi scavezzacollo, meticolosamente impazienti. Una certa durezza fa parte del suo corredo, quasi un dovere professionale, a difesa del suo particolare ruolo e dell’unicità del suo posto centrale nello spelacchiato sistema economico italiano, che in lui si accompagna a un’incandescente passione politica (è stato per otto anni presidente della Lombardia), a relazioni trasversali e fortissime, che sempre gli hanno consentito di litigare (come con Giulio Tremonti), ma poi di mediare. E infine anche di incassare.
E Intesa non schioda dalla sua posizione se lui, che ne è azionista, è contrario; e nemmeno la Cassa depositi e prestiti, oggi guidata da Claudio Costamagna. Il salvataggio di Mps, l’intervento sulle banche in difficoltà, passa dunque dalle mani di questo vecchio democristiano di sinistra che, con una partecipazione qui e una lì, con le sue mille conoscenze e le sue mille nomine, con il timone delle fondazioni bancarie saldamente in mano per ancora molti anni, è l’inaggirabile interlocutore del governo. E con Renzi raccontano ci sia un rapporto complicato, di obbligata lealtà, in cui si esprimono tutte le occhiute cautele della vita.
Nel 2015 Guzzetti voleva Giovanni Gorno Tempini alla presidenza della Cassa depositi e prestiti, ma provenendo da vecchia scuola democristiana, quando capì che Renzi e il suo consigliere Andrea Guerra insistevano su Costamagna, fece un capolavoro da volpe: convocò Costamagna e di fatto lo investì lui dell’incarico guadagnandosene anche l’eterna gratitudine. Ed è infatti abilissimo nell’amministrazione (e nella conservazione) del potere e dell’influenza. Nei primi anni 2000 subì un maldestro tentativo berlusconiano di scalzarlo dalla Fondazione Cariplo, che presiede ininterrottamente dal 1997: erano ancora anni in cui dalle parti del Cavaliere si tentava di costruire un establishment, e Guzzetti era – anzi è – amico di Romano Prodi. Gli venne dunque contrapposto dal Cavaliere il più giovane Bruno Ermolli. Come andò a finire? Andò a finire che la trama dei rapporti di Guzzetti si rivelò essere così ramificata che persino un pezzo del mondo berlusconiano – Mario Zanone Poma – prese a difenderlo. Anche Roberto Formigoni, presidente della Lombardia eletto con Forza Italia, si schierò tacitamente con lui. Dunque Ermolì tramontò. E quando poi Tremonti lo sfidò sul ruolo delle fondazioni, Guzzetti fece sentire anche al super ministro dell’Economia di che erba era fatta la scopa. Anche se dopo averlo sconfitto – non per niente militava nella Dc – aiutò Tremonti a costituire quella Cassa depositi e prestiti di cui (guarda un po’) lui è ancora occulto regista. Così Renzi lo tratta con la circospezione che si deve a chi da un momento all’altro è in grado di graffiare a sangue. E lui, l’eterno Guzzetti, non dismette l’aria ruvida: “E con i crediti deteriorati di Mps, di grazia, con i crediti deteriorati di Mps cosa ci dovremmo fare?”. Non si sa ancora quale sarà la strada che il governo imboccherà per risolvere il caos bancario ma l’unica certezza è che oggi tutte le strade dei salvataggi portano a lui.
Il Foglio sportivo - in corpore sano