Il caso dell'infermiera (forse) killer e i nostri incubi eutanasici
Abby e Martha sono due dolcissime ziette che vivono in una vecchia casa che profuma di old time religion e di vecchi merletti, vogliono bene all’umanità, e alle singole persone una per una, quelle che capitano sotto il loro tetto. E la vita, animuccia mia, è così piena di difficoltà. Allora perché non aiutare il prossimo a lasciare nel modo più rilassato e indolore, tra brava gente e con un sorriso, questa valle di lacrime? “Era un povero vecchio, solo al mondo! Tutti i suoi parenti erano morti e lo avevano lasciato nella miseria e nell’abbandono. Ci faceva tanta pena…”.
Zia Abby e zia Martha sono le protagoniste di “Arsenico e vecchi merletti“, commedia di Broadway che divenne nel 1944 un blockbuster di Frank Capra. Il Frank Capra di “La vita è meravigliosa“ che per una volta s’era preso una licenza (di uccidere) dalla sua integerrima Weltanschauung ottimista e rooseveltiana, con una commedia nera. Anzi no, tutt’altro che nera, perché non c’è perfidia. Ma soprattutto perché lui, e intere generazioni con lui e dopo di lui, l’hanno interpretata come deliziosamente surreale: a chi verrebbe in mente di avvelenare la gente (tanta gente) a fin di bene, e di consegnare i cadaveri a un fratello matto che li interra giù in cantina, convinto di essere Teddy Roosevelt e di stare scavando il canale di Panama? Già, a chi mai verrebbe in mente?
Fausta Bonino è una signora di cinquantacinque anni, di Piombino, bravissima donna secondo i vicini, “una persona perbene” anche per la sua amica avvocato, Cesarina Barghini, simpatica anche lei come un personaggio di commedia, sembra fatta per il plastico di Porta a Porta, ma in attesa del grande salto si accontenta della Vita in diretta e riceve minacce su Facebook: le consigliano di suicidarsi con le iniezioni di eparina. L’eparina, esatto. Fausta Bonino fa l’infermiera (non la chiameremo killer prima del tempo, coi pm siamo sempre prudenti e, al momento, le indagini sembrano più che altro un bel casino) ed è accusata di aver ucciso tredici (o forse quattordici?) pazienti all’ospedale di Piombino, in rianimazione. Somministrando loro eparina, un anticoagulante, in dosi letali e senza autorizzazione. A fin di bene come le ziette, per non farli soffrire? O perché s’era rotta le scatole di soffrire lei, a curarli? Sono soltanto sospetti. Che siano tutte vere, le morti sospette, si vedrà (è anche sospetto, in verità, leggere sui giornali che “faceva delle iniezioni”, l’eparina non si somministra in quel modo).
Livorno, conferenza stampa sull'operazione "Killer in corsia" (foto LaPresse)
La cosa più sospetta, almeno per noi spettatori, è però la sempre più frequente apparizione nelle nostre cronache degli “angeli della morte” (sic). L’ultima è stata Daniela Poggiali, ex infermiera all’ospedale di Lugo, appena condannata all’ergastolo per aver ucciso una paziente col potassio, ma era indagata per una decina di casi. Un’altra è indagata a Bergamo, ma forse è solo Valium. Sta di fatto che in Italia così come all’estero appaiono a frotte, gli angeli della morte. Come in un incubo. O forse si tratta di una strana ossessione, in un mondo in cui andarsene dolcemente è un diritto desiderabile e chi offrirà il beverone finale una persona buona e cara. Se nel new deal all’incontrario di Frank Capra la morte è meravigliosa, com’è che il suo angelo, quando arriva, fa così paura?
Il Foglio sportivo - in corpore sano