Il nostro sottosuolo è un patrimonio. Facciamolo fruttare per le prossime generazioni
Ci lamentiamo sempre che l’Italia non pianifica e si ritrova a inseguire le emergenze. Ma poi, quando il governo mette in campo un piano come la strategia energetica nazionale si scatenano i comitati del no, i presidenti regionali, le associazioni di ogni sorta e, a forza di sforbiciare pezzi, del piano non rimangono che i dettagli da ingegneri. Perché è su un dettaglio che viene chiamato a esprimersi il popolo, nonostante venga presentato come la scelta fra petrolio e mare o – peggio – fra l’onestà dei pescatori e la scorrettezza degli industriali.
Partiamo da un dato: l’Italia importa circa il 90 per cento degli idrocarburi, anche se le stime ci dicono che nel nostro sottosuolo ci sarebbe un miliardo di barili. Per questo ci eravamo dati l’obiettivo di raddoppiare le estrazioni entro il 2020, per per rafforzare una filiera strategica come quella dell’oil&gas italiana che impiega 130 mila addetti, abbassare la bolletta energetica e diminuire la nostra dipendenza estera. Chi ha proposto i referendum ha smontato pezzo per pezzo questa strategia e ora vuole darle l’ultimo colpo. Con il risultato non di sostituire il petrolio con altre fonti di energia, quanto il petrolio italiano con quello da importare da oligarchi (e soprattutto rais…)
Perché l’Italia, che pure è leader mondiale nella produzione dell’energia solare, non può fare a meno di fonti fossili, come tutti gli altri Paesi industrializzati. Ma può contare su tecnologie e una legislazione più stringente degli stessi standard europei per contenerne i rischi in ogni fase di produzione. Guardiamo all’esempio della Norvegia, dove le estrazioni si sono accompagnate con un altissimo standard di tutela ambientale, e con un elevato sviluppo di fonti rinnovabili. E dove soprattutto le risorse derivanti dal combustibile estratto nell’Oceano hanno alimentato lo sviluppo di un Paese che ha avuto la saggezza di destinare una quota fissa delle royalties petrolifere a un fondo nazionale d’investimento, che sosterrà la spesa sociale dei norvegesi per i prossimi secoli.
Facciamolo anche noi: creiamo un fondo sovrano con i proventi delle attività estrattive e rendiamo quello che abbiamo nel nostro sottosuolo un patrimonio che – anziché venire sperperato – crei ricchezza anche per le prossime generazioni. Per questo il referendum di domenica è sbagliato, perché ha trasformato in una bagarre politica una riflessione strategica sul futuro industriale del nostro paese. E per questo io mi asterrò.
Marco Gay, Presidente di Confindustria Giovani
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