Tappeto rosso al Festival di Cannes per il film che esalta i terroristi di Monaco ‘72
Le famiglie degli atleti israeliani boicottano la pellicola “Munich: A Palestinian Story”. Per il regista libanese di origine palestinese Narsi Hajja quanto successo alle olimpiadi bavaresi non sarebbe stato un atto terroristico, ma un “incidente internazionale”.
Roma. Settembre 1972, Villaggio Olimpico di Monaco di Baviera, “blocco 31”. Alcuni degli atleti israeliani erano sopravvissuti all’Olocausto. I terroristi palestinesi di Settembre Nero che li presero in ostaggio chiedevano la liberazione di 234 terroristi nelle carceri israeliane. Ma Settembre Nero non cercava lo scambio o la trattativa, cercava l’uccisione degli ebrei. Volevano i giovani rappresentanti del popolo israeliano ospitati dalla nazione che un tempo ne pianificò l’Olocausto (il Villaggio Olimpico si trovava a pochi chilometri da Dachau). Fu un sussulto spettacolare della guerra del movimento islamista per spazzare via Israele dalla faccia della terra. Furono i primi ebrei uccisi in quanto ebrei in Germania dopo il 1945.
La prossima settimana il Festival del Cinema di Cannes stenderà un tappeso rosso a “Munich: A Palestinian Story”, il film del regista libanese di origine palestinese Narsi Hajjaj. Ilana Romano, vedova del sollevatore di pesi Yossef Romano, assassinato nel massacro delle Olimpiadi di Monaco del 1972, ha rifiutato di collaborare a questa pellicola perché il regista ha insistito nel definire “combattenti per la libertà” i terroristi di Settembre Nero che uccisero suo marito, mentre gli israeliani assassinati sono “i rappresentanti di un paese occupante”.
L’anno scorso, il regista Hajjaj aveva chiesto alla signora Romano di prendere parte al documentario per aiutarlo a presentare la versione israeliana. La vedova aveva posto come condizione che il regista definisse “terroristi” e non “combattenti per la libertà” gli assassini degli atleti israeliani. Hajjaj, cresciuto nel campo profughi di Ain al Hilweh in Libano e laureato all’Università di Middlesex a Londra, ha rifiutato. “Otto combattenti per la libertà palestinesi hanno attaccato il Villaggio Olimpico di Monaco di Baviera e hanno preso undici atleti israeliani in ostaggio”, recita la brochure del film. Un anno fa è emerso che almeno uno degli atleti, Yossef Romano, venne castrato dai sequestratori palestinesi sotto gli occhi dei suoi compagni. “I terroristi hanno sempre sostenuto di voler solo liberare i loro compagni dalle celle in Israele”, osserva Ankie Spitzer. “Ma, evidentemente, non venivano in pace”.
Per il regista Hajjaj, la strage di Monaco non sarebbe un atto terroristico, ma un “incidente internazionale”. Ancora meglio. Sul sito web del Fondo arabo per i Beni e le Attività culturali, che ha finanziato il film, si legge che “tutto è finito quando le forze di sicurezza tedesche hanno fatto irruzione, uccidendo cinque palestinesi e undici israeliani”. Si chiama negazionismo. Secondo Hajjaj, gli eventi saranno visti attraverso gli occhi degli ultimi due “fedayeen” (in arabo martiri), che hanno preso parte all’operazione e che sono ancora vivi. Clamoroso e deploravole che il Festival di Cannes abbia accettato di ospitare e commercializzare il film.
A questo punto si potrebbe suggerire di inserire nella giuria di Cannes Jean Luc Godard, Oscar alla carriera, ammirato autore della Nouvelle Vague, che in una intervista del 1991 a Libèration definì Israele “un cancro sulla mappa del medio oriente” e che nel documentario del 1976 “Ici et Ailleurs” mette a raffronto le vite di due famiglie, una palestinese e l’altra francese, alternando immagini di Hitler e del premier israeliano Golda Meir, come due tiranni opposti. Nello stesso documentario, Godard parla così del massacro degli atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco nel 1972: “Prima di ogni finale olimpica dovrebbe essere diffusa una immagine dei campi profughi palestinesi”. E’ quello che avverrà la prossima settimana sulla leggendaria montée des marches di Cannes.
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