Cosa sappiamo dei 13 jihadisti pronti a colpire in Germania e in Italia
Milano. Afghani, balcanici, maghrebini. Le rotte per il jihad si moltiplicano e si accavallano. Cellule famigliari, lupi solitari, mujaheddin a tempo pieno dell’Is. Predicatori, fiancheggiatori, finanziatori, gregari impiegati nel servizio logistico della guerra santa o supporter ideologici, che si limitano al proselitismo sui social network. Tutti però sembrano avere un solo obiettivo ora: attaccare l’Europa dei kafir. A Bari i carabinieri del Nucleo investigativo del Ros hanno spiccato mandato di arresto per cinque afghani, di cui uno fermato a Milano, mentre altri due hanno fatto in tempo a tornare in Afghanistan. Ahmadzai Qari Khesta, Ahmadzai Surgul, Nasiri Hakim, Amjad Zulfiqar e Ahmadzai Gulistan erano ancora in una fase iniziale del progetto, ma avevano comunque messo in piedi “una rete di sostegno logistico” all’Is. Finanziandosi anche con il traffico dei clandestini. Progettavano attentati in Italia, in Francia, in Belgio e in Inghilterra. Variante islamista della generazione millennial, sono tutti giovani precari del jihad. Hakim Nasiri, 23 anni, accusato di terrorismo internazionale, si trovava in un centro di accoglienza per richiedenti asilo e il 29enne Gulistan Ahmadzai, fermato invece per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, che viveva in provincia di Foggia, aveva persino lo status di protezione umanitaria, ottenuto nel 2011.
Un fatto grave, che dimostra la fondatezza dell’allarme lanciato dal Viminale sul passaggio dei terroristi che si mescolano ai migranti nei centri di accoglienza. Bari è uno snodo importante per il transito dei jihadisti che cercano di rientrare in Europa dal Califfato, come abbiamo scoperto dopo le stragi di Parigi e di Bruxelles. Nel frattempo il Foglio è in grado di rivelare che, secondo le nostre fonti di intelligence, ci sono 13 foreign fighters recentemente rientrati in Europa, fra cui 6 che hanno vissuto in Italia: quattro tunisini, un iracheno e un italiano convertito, che si trova nel Regno Unito. Quelli che preoccupano di più la nostra intelligence, oltre ai balcanici, sono infatti i tunisini. Soprattutto la filiera tunisina di mujaheddin che si trovano in Libia e si preparano a rientrare per colpire il Vecchio continente. Fra i “ritornati” , infatti c’è Wael Darrajino Labidi, che ha vissuto a Rivalta di Torino e prima di partire per la Siria si è iscritto all’università, alla facoltà di Lingue. E ora si trova in Germania.
Sul suo profilo Facebook si può seguirne l’involuzione verso il terrorismo. Dalle immagini in cui, calzoncini corti e capelli rasati, nel 2014 sembra un giovane che si diverte come qualsiasi miscredente, per usare il loro linguaggio, al selfie del 2015 vestito di nero, con la divisa dei combattenti Is nel deserto e l’indice puntato verso il cielo: un gesto simbolico adottato dai jihadisti e che sta per “Non c'è Dio al di fuori di Allah e Maometto è il suo profeta”. L’immagine del suo profilo oggi è un autoritratto a fumetto che stride con i selfie scattati in Siria o in Iraq. Dal suo profilo si può risalire anche ad alcuni amici combattenti. Come Haithem Haithouma, che deve avere qualche legame con l’Italia, visto il nickname (“amico bello”). Anche lui immortalato con altri combattenti. Oppure Abou Hourira Mohammed, la cui immagine profilo è un selfie con una pistola in mano puntata verso il cielo, occhiali neri tecnici e tuta mimetica. La lista della sua cordata di combattenti, fratelli islamisti, su Fb è sterminata, anche se si mescola agli amici che probabilmente frequentava prima della radicalizzazione e con cui andava nelle sale giochi. I tunisini, è noto, sono i combattenti più duri e puri. Manovalanza della guerra santa e, non scordiamolo, anche fondatori dell’organizzazione Ansar al Sharia poi confluita nell’Is in Libia. Così come sono tunisini la maggior parte dei detenuti radicalizzati in carcere: balordi che vengono dalla strada, dalla criminalità comune.
Come dimostra la rivolta in carcere al grido di Allah ‘u Akbar, due giorni fa a Piacenza, dove i detenuti hanno devastato una sezione del carcere inneggiando all’Is. Tornando ai foreign fighters rientrati, seguiti dalla nostra intelligence e da quella europea, la domanda da porsi è: sono andati tutti in Germania come Wael Labidi, su Fb in stretto contatto con un amico di Stoccarda che plaudiva i suoi selfie in versione combattente? La Germania è il nuovo target dopo Parigi e Bruxelles? Secondo le nostre fonti, molti dei foreign fighters rientrati in Europa si sono diretti in Germania, dove esiste una comunità di integralisti tunisini. Fra coloro che hanno vissuto per un periodo lungo o temporaneo in Italia e rientrati da poco in Europa ci sono anche un iracheno, probabilmente di etnia curda, Parabal Mudahafar, e un italiano convertito, Gianluca Tomaselli, nato a Termini Imerese. In Italia non ne ha parlato nessuno, ma un articolo del Sunday Times del 27 marzo racconta la sua vicenda. Tomaselli, classe 1989, è indagato perché sarebbe stato membro del gruppo jihadista britannico in Siria, Rayat al Tawheed. In un video, con il nome di battaglia di Abu Abdullah al Britani, avrebbe indicato come target da colpire i popolari autobus rossi di Londra, usando come immagine un uomo armato di fucile che ne assaltava uno. Per l’intelligence inglese lui ha avuto un ruolo importante nella propaganda di istigazione agli attentati, dopo aver lasciato la moglie e due figli per andare in Turchia.
Secondo l’MI5 è arrivato in Siria nel 2013. E con il nome di battaglia è apparso nel video del gruppo Rayat al Tawheed. Sul suo profilo Fb ha scritto: “Aspettare la shariah in modo democratico è come attendere un figlio da una coppia gay”. In ogni caso, mentre l’allarme in Europa si diffonde (non va dimenticata la previsione dell’intelligence irachena, confermata da quella europea, che ha fatto trapelare il numero esorbitante di 4.500 jihadisti addestrati per venire in Europa), anche dall’Italia si continua a partire: in una sola settimana, rivelano le nostre fonti, il numero dei foreign fighters partiti è passato da 94 a 99 (gli ultimi sono maghrebini). Perché? Per un semplice motivo: sebbene la strategia del Califfato sia ora focalizzata a importare la guerra anche in Europa, l’aspirazione degli islamisti non è mutata. Vogliono una cosa sola: guerra santa e martirio nella loro terra promessa.
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