Perché i bonus bebè sono generosi ma non aiutano a far tornare le culle piene di bambini
Roma. Il “Bonus Bebè” raddoppia e aumentano le detrazioni fiscali a partire dal secondo figlio. Ad annunciare la proposta allo studio del governo, su Repubblica, è il ministro della Salute Beatrice Lorenzin: “Negli ultimi cinque anni abbiamo perso 66 mila nascite, una città più grande di Siena. Andando avanti così, nel 2026 avremo il quaranta per cento di nascite in meno”. Lorenzin ha usato la parola “apocalisse”. Iniziativa lodevole, considerando che per anni abbiamo fatto finta che non esistesse neppure un problema demografico. Ma il “Bonus Bebè” ha già fallito altrove in Europa, dalla Spagna alla Germania, paesi che si trovano in una condizione demografica simile a quella dell’Italia. Come ha riportato lo Spiegel, “la più grande economia europea spende duecento miliardi di euro nella promozione delle nascite ogni anno – due terzi del budget federale. Ma il tasso di fertilità resta di 1,39, il più basso in Europa. La Germania spende molto di più sulle famiglie rispetto alla media Ocse. Ma il suo tasso di natalità è molto inferiore. Alcune delle misure più costose spesso producono il minimo vantaggio”. In Germania la rete dei benefìci è a dir poco complessa: “Supplemento bambino”, “prestazioni parentali”, “indennità per genitori single”, “bonus fratello”, “supplemento istruzione dei bambini”. E il part time? In Germania metà delle donne lavora oggi in part time, più di qualunque altro paese europeo. Poi c’è la Spagna, che fin dal 2007 ha introdotto un lauto “Bonus Bebè”: 2.500 euro per ogni nuovo nato. Da allora, la fertilità è comunque crollata, passando da 1,40 figli per donna agli attuali 1,32. Nel 2015 si è registrato un maggior numero di decessi piuttosto che di nascite. Non ha precedenti dalla Guerra civile: nei prossimi dieci anni la Spagna perderà 2,6 milioni di persone (sei per cento della popolazione). Le nascite si ridurranno del 25 per cento, passando da 456 mila nel 2013 a meno di 340 mila nel 2023.
Poi c’è il caso della Danimarca, da sempre indicato come un modello di aiuto alla famiglia. Un paese secondo al mondo per equa distribuzione del reddito, settimo per ricchezza pro capite e ottavo per libertà economica. 750 mila danesi, il venti per cento della popolazione, non lavorano, tanto che il New York Times ha definito la Danimarca “il miglior posto al mondo dove essere licenziati”. Ma nel 2014 in Danimarca sono nati 55.873 bambini, il numero più basso dalla fine degli anni Ottanta. Il tasso di fertilità è il più basso degli ultimi quarant’anni. Dieci nuovi bambini ogni mille abitanti, appena un po’ meglio del Giappone (8,39) che sembra uscito da un film di fantascienza. Gli esperti di demografia sono scettici sugli effetti degli incentivi economici sulle nascite. “Il comportamento riproduttivo umano è profondamente sociale”, dice Jennifer Johnson-Hanks, demografa all’Università di Berkeley. “E’ strutturato per sistemi di valori”. Per questo la Danimarca ha appena varato la nuova educazione sessuale nelle scuole? Un tempo all’insegna di una guerra alla fertilità umana, la nuova educazione sessuale adesso ha una nuova parola d’ordine: “Fatelo per la Danimarca!”.
Può un bonus far uscire una società intera da quella che i demografi chiamano “la trappola della bassa fertilità”? Se dura a lungo nel tempo, il figlio unico o la famiglia “child-free” diventano la norma, e non più l’eccezione.
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