Perché il Cnsu è un anacronistico baraccone universitario
Roma. Mentre ad ottobre gli italiani saranno chiamati a decidere sulla eliminazione del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (Cnel), c’è un altro "Consiglio nazionale" che questa settimana ha chiamato al voto più di un milione e mezzo di concittadini per il rinnovo dei suoi 30 componenti: il Consiglio nazionale degli studenti universitari (Cnsu). Chiamata che ha avuto scarsi risultati: nonostante le elezioni si siano svolte in due giorni, l’affluenza registrata è stata di poco più del 5 per cento per gli studenti e dell’1 per cento dei dottorandi di ricerca.
La prima motivazione del flop della partecipazione (peraltro in calo rispetto alle percentuali già basse dell’ultima tornata elettorale) viene dalla percezione che ha il Cnsu di organo lontano dagli studenti: istituito da un decreto del presidente della Repubblica nel 1997, è stato il terreno sul quale i maggiori partiti e sindacati si sono giocati la partita della rappresentanza giovanile senza diventare la piattaforma istituzionale della innovazione del modello universitario italiano. Tutto ciò mentre nello stesso ventennio si è registrata la fuga dei cervelli all’estero, la costante diminuzione dei fondi alle università e alla ricerca e la nascita degli atenei telematici, solo per fare alcuni esempi.
E’ infatti difficile che uno studente ricordi quali siano stati i progressi nella condizione dei giovani italiani ottenuti grazie al Consiglio nazionale. Questo anche perché il Cnsu ha fondamentalmente competenza consultiva e propositiva, ma senza alcun potere determinante nei confronti dei ministri di turno, che tra l’altro dal 1997 sono cambiati alla media di uno ogni 2 anni con l’evidente difficoltà nel costruire un rapporto di lungo periodo per riformare l’accademia italiana. La questione è stata affrontata negli scorsi anni da un gruppo di lavoro ad hoc sulla riforma dell’organismo, ma tutto si è concluso con un nulla di fatto, un flebile auspicio che le innovazioni siano intraprese nel successivo triennio e la tremenda voglia di passare al successivo punto all’ordine del giorno per combattere sulle mozioni più caratterizzate ideologicamente.
Nei 5 mandati dell’organismo che ha sede presso il ministero dell’Istruzione, la dinamica politica che ha guidato la composizione delle maggioranze è sempre stata quella di divisione tra centrodestra e centrosinistra, con un Movimento 5 stelle che non si è mai preoccupato di presentarsi alla competizione. Volendo invece andare ad analizzare i risultati della tornata appena conclusa è stata la lista dell’Udu (vicina alla Cgil) in accordo con l’organizzazione universitaria del Pd (la Rete universitaria nazionale) ad avere ottenuto più seggi, come per altro avvenuto nella scorsa consiliatura e che, se trovasse un accordo con la lista Link (collettivi di sinistra) e Confederazione-UniLab (libdem) potrebbe confermarsi alla presidenza dell’organismo, imponendosi sulle altre due liste presentate: Lista Aperta (vicina a Cl) e Studenti per le Libertà – Azione Universitaria (centrodestra).
L’interrogativo che aleggia è sempre lo stesso: che senso ha un organismo di matrice sessantottina, senza effettivi poteri (peraltro dal 2008 il fondo per i gettoni di presenza e delle indennità è andato ad esaurirsi senza essere rimpinguato), senza un forte riconoscimento elettorale, che produce una classe sindacale e politica fuori da questo secolo mentre c’è una classe dirigente giovane al governo, che non crede nelle intermediazioni tra i cittadini e il potere esecutivo e che vuole rottamare i vecchi attrezzi della democrazia del novecento come il Senato e il Cnel? Ai posteri l’ardua sentenza.
Virgilio Falco è Presidente nazionale di StudiCentro e Vice Chairman di European Democrat Students
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