L'ultima trovata delle femministe, lo sciopero contro il matrimonio, "lavoro emozionale"

Simonetta Sciandivasci
L'attivista Laurie Penny si schiera contro la vita coniugale che, sostiene, condanna la donna a sacrificarsi per gli altri. Ma il vero anticonformismo sarebbe rompere l'equazione "donna sposata, perciò sottomessa".

Roma. Ottenuti pane, rose, pantaloni e sindache, è giunta l'ora di scioperare dall'amore e dal matrimonio. E sarà uno sciopero "vasto, sparpagliato, con i picchetti alla porta di tutte le case e alla soglia di ogni cuore". Parola di Laurie Penny, attivista, femminista, trentenne, felicemente domiciliata in una comune e nobody's wife (dettagli che è lei a evidenziare), la quale, sul Newstatesman, ha pubblicato un articolo in cui spiega che la vita coniugale inchioda le donne a un "lavoro emozionale" - ricordarsi delle ricorrenze e festeggiarle, gestire lo stress, restare attraenti, impedire il tracollo altrui - che non prevede compenso e che è finalmente diventato visibile e quantificabile, al pari di quello casalingo, di cui condivide la matrice (l'assoggettamento femminile) ma rispetto al quale è più sfiancante.

 

Il “lavoro emozionale” (è sempre terribile quando una ragazza si esprime come un esperto di management) sarebbe stato appaltato alle donne "in base alla supposizione che sono fatte per occuparsi di queste faccende", dice Penny, attingendo da due libri che stanno facendo ribollire il sangue delle lettrici statunitensi. Uno si chiama "All the single ladies" (come la canzone di Beyoncè che diceva pressappoco "sei tu quello che voglio ma se non ti vincoli a me, me la spasserò con quest'altro tipo niente male che mi stringe più di un jeans") e "Labor of love": in entrambi, le autrici R. Traister e M. Weigel spiegano come le donne single abbiano finalmente capito che le nozze non convengono e sono "più opzionali di quello che la società spinga a credere". "Nonostante la pressione sociale che subisco, sto bene così", dichiara Penny, dopo aver confessato di non avere intenzione di sposarsi perché "ho troppe altre cose da fare".

 

"Tutti i tipi di moralità sono concordi nell'insegnare alle donne che il loro dovere è vivere per gli altri", scriveva J.S. Mill, nel 1869. Laurie Penny vuole farci credere che, da allora, poco è cambiato e, forse perché vive in una comune, le sfugge che la pressione sociale si esercita, ormai, al contrario: una donna che, tra i 25 e i 30 anni, si dichiari favorevole al matrimonio, è più facile che sia considerata una larva senza ambizioni, col cervello lavato da clericalismo e sessismo, piuttosto che elogiata per il volersi consacrare a un progetto cruento ma utile alla prosecuzione della specie. Su questo non ci sono sondaggi: per averne prova è sufficiente un aperitivo tra amici o soffermarsi sulla domanda che Penny rivolge alle sue lettrici, trasformandosi nel microfono della coscienza femminile universale: "volete passare la vita a occuparvi degli altri quando riuscite a malapena a occuparvi di voi stesse?".

 

Nietzsche considerava la gravidanza un “darsi senza premura”, una “consacrazione in cui si può e deve vivere” per superare la contrapposizione tra egoismo e altruismo e vegliare nell’interesse di tutti. Lo ricorda Luisa Muraro, femminista seria, nel suo ultimo libro (“L’anima del corpo”): “nella metafora di Nietzsche riconosco un aspetto del mio impegno politico: cambiare la realtà non con l’organizzazione né con le leggi, ma a partire da quella che sono e che sto diventando con la fedeltà al mio essere donna”. Certo, quella fedeltà non si esplica solo nel matrimonio e nella maternità, ma neppure impugnando un calcolatore sindacale per valutare i pro e i contro dell’amore coniugale e filiale, che sono inestimabili e se l’energia spesa per mantenerli vivi non può essere oggetto di una contrattazione è colpa della vita. Non si può scioperare contro la vita: si dovrebbe farlo, invece, contro il nuovo conformismo che sorregge le equazioni sposate = sottomesse e single = autonome, libere, padrone, felici.