Il caso di Rushdie e sua moglie dimostra che per uno scrittore è meglio sposarsi un'analfabeta
Nessuno scrittore dovrebbe sposarsi. Prendete Salman Rushdie. A cinquant’anni, nonostante tre matrimoni falliti, s’era pervicacemente ammogliato con una presentatrice di trasmissioni di cucina dalla quale ha inevitabilmente divorziato di lì a breve, e che altrettanto inevitabilmente adesso lo denigra in un libro di memorie. Lo taccia di immaturo, insicuro, meschino; gli rinfaccia di avere preteso frequenti rapporti sessuali; lo sfotte per aver dovuto consolarlo ogni secondo giovedì di ottobre, quando il Nobel per la letteratura veniva regolarmente assegnato a qualcun altro.
Tutte le ex mogli di Rushdie lo accusano di essere un pessimo marito (c’è qualche marito che non è pessimo?) tuttavia in questo caso il divertente è che anche lui aveva sparlato di lei in un libro. La differenza è che Rushdie scrive per mestiere e sa farlo bene. Padma invece fino a ora aveva pubblicato soltanto libri di cucina, né più né meno di un’Antonella Clerici o di una Benedetta Parodi, e la prosa del memoriale risente di questa formazione: il matrimonio con Salman, scrive, è stato come un ottimo pasto chiuso da un dessert al veleno. La storia di una cuoca televisiva che sposa uno scrittore e poi lo sputtana spacciandosi per scrittrice in una trasmissione mattutina per casalinghe americane – mentre non risulta che Il caso di Rushdie abbia usato il matrimonio per diventare una star culinaria – ci insegna un corollario: se proprio desiderano sposarsi, gli scrittori scelgano fra le analfabete.
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