Il caso Guidi-Gemelli è lo specchio della situazione in cui versa la famiglia in Italia
Il governo in carica sta facendo più del necessario in termini di riforma della famiglia ma non per questo bisogna sprecarsi in umorismi e pettegolezzi su Federica Guidi e Gianluca Gemelli. Il fatto che l’ex ministro abbia definito l’altro ora “mio marito”, ora “a tutti gli effetti mio marito” pur non avendolo sposato, ora “padre di mio figlio”, ora “qualcuno con cui non ho mai convissuto”, non è né segnacolo di una crisi di coppia né alpinismo sugli specchi. Non si tratta nemmeno di negazione dell’evidenza, alla stregua del disperato e situazionista “mia moglie non è mia moglie” che Di Pietro si lasciò sfuggire intervistato da Report.
L’ondivaga definizione della categoria cui Gemelli appartiene in relazione alla Guidi è, credo, l’onesta rappresentazione del rapporto coniugale ormai liquido (o liquefatto), pertanto trascende il caso specifico: né più né meno delle unioni civili o del divorzio breve, sigilla il dato acquisito che i confini delle relazioni sono porosi e che con disinvoltura ci collochiamo sia dentro sia fuori. Noi italiani siamo assetati di telenovele e campioni di moralismo in casa d’altri, però il caso di Federica Guidi – indipendentemente da ciò che dichiarerà domani ai magistrati – si limita a dimostrare quanto normale sia che un componente di una qualsiasi coppia sia simultaneamente marito e non marito. Comprova che, col progresso delle leggi e dei costumi, la famiglia si trova nella medesima situazione del gatto che Schrödinger ipotizzava di rinchiudere in una scatola di acciaio: è viva ed è morta allo stesso tempo.
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