Perché in fondo conviene che il treno rimanga "classista"

Antonio Gurrado
Buonasera, sono un treno. Anzi, non per vantarmi ma sono un treno a lunga percorrenza e, siccome oltre a seguire le rotaie per otto ore e tre minuti non ho impegni pressanti, mi resta tutto il tempo di meditare sui casi miei.

Buonasera, sono un treno. Anzi, non per vantarmi ma sono un treno a lunga percorrenza e, siccome oltre a seguire le rotaie per otto ore e tre minuti non ho impegni pressanti, mi resta tutto il tempo di meditare sui casi miei: che mi hanno dipinto monocromo, che mi hanno dato un nome da romanzo d’avventura per ragazzi, che ogni tanto vengono effettuate offerte per aprire la prima classe anche a passeggeri che ordinariamente non possono permetterselo.

 



 

Allora hanno licenza d’infiltrarsi in prima quelli che appena saliti mangiano il panino fatto in casa anche se sono le quindici e trentasei, quelli che mettono i piedi sul tavolino perché tanto di fronte non c’è seduto nessuno, quelli che si accomodano su un posto diverso dalla prenotazione assegnata e poi non vogliono spostarsi, quelli che lasciano ruzzare i bambini per il corridoio, quelli che si sono dimenticati di lavarsi, quelli che ciarlano drammaticamente al telefono per l’intera durata del viaggio.

 

Io sfreccio nel tramonto e mi domando se l’offerta convenga a qualcuno: non agli abituali passeggeri della prima che vedono il loro rifugio di civiltà invaso dai selvaggi, non ai rustici promossi che s’illudono che tutto il mondo sia fatto a propria immagine, non all’azienda che rischia di perdere i clienti più ricchi infastiditi, non all’Italia che un tempo valorizzava lusso e bellezza e adesso le svende a prezzo di favore. Di sicuro non conviene a me perché, se mi avete diviso in classi, devo per forza essere classista; così, a furia di rimuginare, perdo il conto dei minuti di ritardo.

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