Certo femminismo fa orrore quasi quanto i social network pol. corr.
Forse Jonathan Franzen avrebbe potuto sfrondare “Purity” di qualche pagina (sono seicentoquaranta) ma non certo quelle sulla storia d’amore con l’artista femminista. A differenza di quel che sostiene la vulgata, non sono segno di misoginia bensì sono volte alla pubblica utilità, tanto quanto i lacerti sulla “rivoluzione vanagloriosa” di internet, che mira a “definire ogni aspetto dell’esistenza”. E poiché ogni aspetto dell’esistenza è collegato a un altro – anche al di fuori dell’estrema postmodernità del web – non riesco a leggere senza orrore le centocinquanta pagine in cui quest’artista femminista, dopo avere chiesto al marito di fare pipì seduto per non sgocciolare sulla tavoletta, gli chiede di non mangiare carne perché lei è vegana, di fare l’amore solo nei pochi giorni al mese in cui lei riesce a raggiungere l’orgasmo (pare dipenda dalla lunazione), di non parlare con suo padre perché lei lo trova antipatico, di spendere solo il proprio denaro anche se lei è ricca di famiglia.
Passando dalla madre alla moglie, confessa il narratore, “la mia vita era diventata un incubo di quei rimproveri femminili che mi ero sempre sforzato di evitare”. Se qualcuno protesta perché all'interno del romanzo questa storia sembra un’inutile digressione sessista rispetto al tema portante, ossia l'ambizione socialista di internet, fategli notare che qui i rimproveri femminili sono tanto astrusi e ottusi quanto la lista di cose che non si possono dire sui social network beneducati, conformisti e progressisti. Uomini, non fidatevi mai di chi vuole farvi fare pipì seduti perché non può farla in piedi.
Il Foglio sportivo - in corpore sano