Elisabetta II (foto LaPresse)

Viva la Regina Elisabetta, e i suoi 90 anni di astensionismo

Antonio Gurrado
È opinione diffusa ma erronea che la Regina non possa votare, quando invece nessuna legge glielo vieta. La monarchia britannica si arroga formalmente il compito di “garantire continuità all’unità nazionale: pertanto il ruolo della Regina si basa sull’identificazione con ogni strato della società”.

Il voto divide, il non voto unifica. Con gran clamore celebriamo il novantesimo compleanno della Regina Elisabetta dimenticando che il vero segreto della sua eleganza perenne non risiede nella vasta gamma di cappellini pastello bensì nella saldezza con cui, a memoria d’uomo, scansa le elezioni.

 

È opinione diffusa ma erronea che la Regina non possa votare, quando invece nessuna legge glielo vieta; tuttavia la remota eventualità che un bel giovedì la cittadina Elisabetta Alessandra Maria Windsor, con cappellino d’ordinanza, si presenti al seggio per esercitare un proprio diritto viene reputata larvatamente incostituzionale, potenzialmente inappropriata, sfacciatamente volgare. La monarchia britannica si arroga formalmente il compito di “garantire continuità all’unità nazionale: pertanto il ruolo della Regina si basa sull’identificazione con ogni strato della società”.

 

 

 

Noi ci beiamo di foto di Presidenti che si recano al seggio per dare l’esempio, mostrando vaghezza di immischiarsi nelle nostre beghe e ritenendo che l’eleganza finisca col non dichiarare da che parte stanno. Se la Regina votasse, si identificherebbe solo con uno strato sociale della nazione che deve rappresentare intera; così ogni carezza a un bimbo diverrebbe automaticamente falsa, ogni sguardo degli elettori automaticamente sospetto, e la Gran Bretagna farebbe la fine dell’Italia. Questo basta a dimostrare che la distanza fra una repubblica e una monarchia non si misura in cappellini. Dio conceda a Elisabetta Regina altri novant’anni di felice astensionismo.

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