La crudeltà nel rito religioso spiegata da un capretto
Buonasera, sono un capretto; anzi, a voler essere precisi, ero un capretto, poiché sono stato sgozzato in strada da due rom desiderosi di seguire alla lettera le prescrizioni islamiche in materia di macellazione. Per questo, dopo avermi tagliato la gola en plen air, mi hanno appeso a testa in giù lasciandomi morire dissanguato. I giudici della Corte d’Appello di Genova li hanno assolti dall’accusa di sevizie, ritenendo che la spiritualità umana prevalga sul dolore animale. Io non contesto la decisione: soltanto gli uomini sono animalisti, mentre noi animali sappiamo che il criterio della crudeltà non può essere applicato su di noi che siamo nati in una natura crudele di per sé. Non contesto nemmeno il rito religioso: la spiritualità è la dimensione che distingue gli uomini da noi, pertanto non mi sorprende che prevalga sulla nostra vita materiale francamente trascurabile. Tuttavia, mi spiegava un mio lontano parente, non tutte le religioni esigono la sofferenza degli animali come segno di rispetto, né considerano la fede una lista di cose da fare: macellare così, piegarsi di qua, andare di là... Lui anzi è molto famoso in una religione in cui conta soprattutto la disposizione spirituale e poi è consentito mangiare quel che si vuole, senza che sia necessario sgozzarci o dissanguarci. Vuol dire che esistono fra gli uomini religioni più spirituali e altre più crudeli? Non lo so, io sono un capretto e mi limito a riferirvi ciò che mi ha spiegato questo mio lontano parente, l’agnello.
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