Un'Inghilterra sobria è un'Inghilterra schiava?
Un'Inghilterra sobria è un'Inghilterra schiava? Nelle inchieste da oltremanica, l'immagine del Brexiter è tipicamente affiancata da un boccale di birra. Questo basso escamotage lascia presupporre alticci tutti i sostenitori del Leave, ai quali, di conseguenza, dovrebbe contrapporsi una compatta falange di europeisti astemi, fermamente persuasi (come ha detto Jonathan Coe) che l'idea di uscire dall'Unione sia l'eclissi della ragione – la stessa che si verifica dopo un congruo numero di pinte.
A ciò temo abbia contribuito la campagna dei pub JD Wetherspoon, lesti a far stampare duecentomila sottobicchieri in favore della Brexit: si tratta in realtà di sottobicchieri ragionevoli e anche piuttosto verbosi, che da una facciata e dall'altra pongono al governo argomentate domande in materia economica; tuttavia è facile associarli a rubizzi patrioti pronti a difendere i confini coi denti, benché incapaci di reggersi in piedi una volta mollato il bancone. A inizio Novecento, quando era il Regno Unito l'ente da cui le nazioni desideravano scindersi, lo slogan salutista “Ireland sober is Ireland free” venne fatto proprio dagli indipendentisti del Sinn Féin, convinti di una correlazione fra sobrietà delle masse e rivendicazioni nazionaliste. Nel giro di una ventina d'anni però l'Irlanda ottenne l'indipendenza senza significativi cali nel consumo di alcol: se ne trasse pertanto l'insegnamento che talvolta la strada per la libertà è lastricata di bicchieri ricolmi, e che entusiasmarsi per lo status quo equivale all'ambizione di ubriacarsi con l'acqua.
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