Perché non esiste niente di più distante tra Theresa May e Margareth Thatcher
“La signora in grigio sulle orme della Thatcher” (Ansa); “Una nuova Thatcher per Londra” (Il Giornale); “Una nuova Thatcher per la Gran Bretagna” (L'Unità); “L'erede della Thatcher” (Avanti); “La nuova lady di ferro” (Il Messaggero); “Una lady di ferro realizzerà la Brexit” (La Gazzetta del Mezzogiorno); e così via, fino a “un po' Merkel, un po' Thatcher” nelle spericolate fantasie di Repubblica, e chissà quanti altri identici parallelismi sono sfuggiti ai miei occhi distratti. A Downing Street ancora campeggiano gli scatoloni di Cameron ma già s'intuisce che il problema di Theresa May non saranno le scarpe leopardate, che aveva sfoggiato al congresso dei Conservatori nel 2002, quando era presidente del partito, e che a giudicare dall'iconografia dei quotidiani, da allora non l'hanno più abbandonata, dettandone fedelmente le orme.
Il guaio sarà questo continuo, martellante paragone con la Thatcher; un paragone ottuso e riduttivo, basato sulla sola coincidenza dell'apparato sessuale; un paragone erroneo, e non solo perché la Thatcher non sarebbe mai andata da Russell & Bromley a comprare scarpe del genere, pezzate e costosissime, causando poi un'imprevista impennata nelle vendite dell'articolo; un paragone sghembo, che per commentare la politica trascura la base stessa della politica. Infatti, sin dalla prima apparizione al congresso di Bournemouth, la May insiste sulla necessità di “beneficiare i membri più vulnerabili della nostra società”, “raggiungere tutte le aree della nostra società”, “prendersi cura sia dei più forti sia dei più deboli nella nostra società”, “dare una chance a chiunque faccia parte della nostra società”, “fare della Gran Bretagna una migliore società”. Al contrario, interrogata sullo stesso tema, la Thatcher rispose con aria esterrefatta: “There is no such thing as society” - non esiste, la società.
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