“Ghostbusters” e il vittimismo di genere: ma Leslie Jones è solo un'attrice che non sa recitare
Dalla caccia ai fantasmi alla caccia alle streghe il passo è breve. Far interpretare il sequel di “Ghostbusters” a quattro donne può essere sia una mossa pubblicitaria, ideale per i nostri tempi così codini, sia un patetico tentativo d'ingraziarsi un pubblico sempre più imbalsamato nella correttezza politica. Comunque è una scelta sottoposta all'opinione del pubblico, che non ha gradito il trailer e a furia di clic l'ha reso il video con più pollici versi nella storia di Youtube. Ai tempi del “Ghostbusters” originario si sarebbe detto che il giudizio collettivo è spesso sommario e inaffidabile; oggi invece si cala il jolly della campagna d'odio orchestrata per sferrare contro il film un attacco misogino e razzista: una delle protagoniste, Leslie Jones, è nera.
Mal ne è incorso al giornalista Milo Yiannopoulos, rinomato provocatore omosessuale e trumpiano, che è stato cacciato da Twitter perché reo di avere causato una gragnuola d'insulti contro di lei. Se la liquidità del mezzo di comunicazione rende pressoché impossibile ricostruire la corretta dinamica degli eventi, il trailer è solido abbastanza da mostrare impietosamente che Leslie Jones è un'attrice comica che non sa recitare e non fa ridere. La vera colpa dell'epurato virtuale è dunque quella di avere dichiarato, a margine di tutta la storia, che il vittimismo di genere o di razza è il rifugio più sicuro per chi non sa svolgere il lavoro per cui viene pagato. Contro Yiannopoulos è stata messa in atto una purga dimostrativa, volta a ricordarci che perfino su una piattaforma che fa della libertà di parola il proprio vanto possono esserci verità indicibili. Un giorno la verità censurabile sarà la nostra e – come recita lo slogan di “Ghostbusters” – allora chi chiameremo?
Il Foglio sportivo - in corpore sano