Quello che Papa Francesco dimentica della storia
L'esperienza c'insegna a prendere con le pinze Papa Francesco quando non si esprime ex cathedra bensì ex machina volante. Ciò che ha detto ieri merita però qualche altra glossa.
Dal versante politico la sua dichiarazione può risultare fin opportuna, se lo si considera come capo di uno Stato teocratico che ha sacerdoti in tutto il mondo e che non può difenderli ovunque con la stessa capillarità: ammettere la guerra di religione sarebbe equivalso a invitare il nemico a colpire il clero ovunque, simultaneamente.
Dal versante filosofico, il Papa è deista; individua nella pace il fine e il senso di ogni religione, presupponendo probabilmente una fratellanza di tutti i credenti in quanto figli dello stesso Dio, padre universale declinato in infiniti nomi. È un'idea alta che non contraddice la fede cattolica poiché il deismo, come l'illuminismo, è un metodo del pensiero e non un suo contenuto (Voltaire lo paragonava a un metallo che si lega a tutti gli altri).
Dal versante teologico, il Papa di fatto scomunica chiunque operi in favore della guerra, sia che uccida sia che smerci armi sia che faccia propaganda: la frase "le religioni vogliono la pace, la guerra la vogliono gli altri", srotolata, credo significhi "chi fa la guerra in nome di Dio non appartiene a nessuna religione, è un ateo di fatto".
È dal versante storiografico che i conti non mi tornano. Sull'aereo per Cracovia, Papa Francesco ha specificato: "Quando parlo di guerra, parlo di guerra sul serio, non di guerra di religione". Bisogna dedurne che le guerre di religione non sono serie? Quando nell'altro mondo vedremo venirci incontro la schiera d'anime degli albigesi, dei catari, degli ugonotti trafitti durante la Notte di San Bartolomeo, dei cadaveri a migliaia della Guerra di Trent'anni, dei valdesi spinti giù dalle cime del Piemonte coi genitali recisi e ficcati in bocca, cosa diremo loro? Che stavamo scherzando?
Il Foglio sportivo - in corpore sano