La verità è che ci piace vedere la gente soffrire
A Modena mi sono appena imbattuto in Ellis Cashmore, che domani parlerà al Festival della Filosofia del piacere causato in noi dai rudi spettacoli agonistici che, da X Factor in giù, chiamiamo talent show. Trattandosi di uno dei massimi studiosi dei meccanismi della fama nel postmoderno, autore di ficcanti saggi e docente all’Università di Birmingham, mi sono ripromesso di chiedergli un parere sulla triste storia di Tiziana Cantone. Chiacchierando però riguardo alla propria ricerca, Cashmore mi ha anticipato di avere compreso che la rutilante spietatezza dell’odierna società dello spettacolo non è determinata tanto dalla sete d’immediata celebrità, che spinge persone sconosciute a comportamenti inconsulti o autolesionistici, e nemmeno dalla vituperata tecnologia che permette di condividere e commentare globalmente azioni altrui, fornendo scorciatoie per la gloria o per l’infamia.
Il vero motivo per cui ci appassioniamo ai talent (o ai video virali) è che ci piace vedere la gente soffrire; ci piace vederla derisa, umiliata, agonizzante; piace a chiunque senza distinzione di genere o di ceto o di cultura. Quest’aspetto di noi ci mette a disagio pertanto ci nascondiamo dietro chi si comporta male in vece nostra, consentendoci di godere dell’umiliazione altrui sentendoci innocenti e superiori: così assolviamo la parte più oscura dei nostri desideri proprio mentre li realizziamo. Alla fine, la domanda su Tiziana Cantone non gliel’ho posta più.
Il Foglio sportivo - in corpore sano