Quello che non viene detto sui millennial che lasciano l'Italia
Italia, boom di millennial che vanno all'estero. Questa notizia, riportata con grande clamore da tutti i quotidiani, contiene almeno tre parole inaccettabili: boom, millennial ed estero. Tralascio le prime due; quanto alla terza, mi limito a far notare che l'estero non esiste. Il sottinteso della notizia è infatti che i giovani italiani vagano disperati per l'Italia fino a che non s'imbattono in una linea di confine, oltre la quale si lasciano pesantemente cadere stanchi ma felici per l'agognata libertà.
L'estero – nozione vaga e onnicomprensiva – è un'invenzione di chi legge Internazionale, di chi lamenta che in Italia le cose non vadano quindi vagheggia un Eden dove al contrario si trovi lavoro, i giovani abbiano ruoli dirigenziali, le donne valgano quanto gli uomini, i soldi caschino dagli alberi e tutti godano di più diritti che fra le nostre mura cadenti. Chi parla di estero riduce a scelta teorica e ideologica la dignità delle scelte concrete: anch'io sono partito, anni fa, perché avevo ricevuto una determinata offerta di lavoro da una determinata città che capitava essere in una determinata nazione che non coincideva con l'Italia. Penso che lo stesso possa dirsi di molti: non sono fuggiti in massa, hanno solo seguito un percorso individuale verso un buon lavoro o un'università adatta alle proprie esigenze.
Non siamo andati all'estero, siamo andati in un posto preciso; né credo saremmo andati in una qualsiasi altra nazione straniera per il solo piacere di trascinarci fuori d'Italia e dare fiato a tutta una sociologia piagnona. L'estero è un'utopia, non si trova in nessun luogo.
Il Foglio sportivo - in corpore sano