Cari partigiani, non serviva stravolgere l'inno di Mameli
Non è la prima volta che qualcuno cambia le parole dell'inno di Mameli. Ma a far sentire i migranti italiani quanto noi ci aveva già provato qualcun altro con un'altra canzone
“Fratelli in Italia, l'Italia s'è desta” e poi non so come sia proseguito l'inno rimaneggiato dall'Anpi nel corso di una cerimonia presso un istituto professionale di Bologna, scatenando polemiche e accuse di anti-patriottismo per via della preposizione cambiata di soppiatto.
I nostri partigiani, che per essere davvero partigiani dovrebbero avere ormai una certa età, sappiano che è ancora lunga la strada da percorrere se vogliono eguagliare il Mameli remix eseguito domenica a Daytona durante il Ferrari Day. Lì una cinese refrattaria alle rime s'è ingarbugliata e, fra lacune e ricostruzioni, se l'è cavata con “Dov'è la vittoria? L'Italia s'è desta: stringiamoci a coorte, siam pronti a coorte, siam pronti la morte, l'Italia creò”. Né dimentico il tenore inglese che prima di un'amichevole contro l'Inghilterra nel 2002 a Leeds aveva praticato interventi migliorativi sui versi di Michele Novaro, culminando nel distico “s'è desta la testa, corriamo alla morte”. Il nostro inno è malleabile: contiene proclami il cui valore trascende l'ordine in cui li si enuncia o i sinonimi con cui si decide di rafforzarne lo spirito.
Del resto c'è andata meglio che al Kazakistan, nazione che al posto del proprio inno sentì una volta risuonare la versione fasulla di Borat (quella che vanta la produzione di potassio) e un'altra volta, colpo di scena, “La vida loca” di Ricky Martin. Meno eclatante, l'Anpi ha giustificato l'adattamento specificando trattarsi di un tentativo di accogliere gli immigrati sottratti alla miseria facendoli sentire italiani quanto noi. Se questo è lo scopo, non c'è bisogno di faticare a riscrivere l'inno: c'era già un canto, mi pare, che si rivolgeva a una moretta schiava fra gli schiavi promettendole “la tua bandiera sarà sol quella italiana”.