Il metodo Rovazzi applicato a quelli che credono che la loro vita sia un'opera d'arte
Viviamo in un'epoca in cui chiunque ritiene di avere diritto di tribuna. E' andata così anche dopo la prima alla Scala con una vagonata di interpretazioni della figura di Madame Butterfly
Viviamo nell'epoca più stupida della storia ma non dobbiamo scoraggiarci: non è degenerata l'umanità, è solo che mai così tante persone hanno avuto diritto di tribuna né mai ci sono state tante piattaforme di comunicazione la cui sopravvivenza dipende dal fatto che si reputi, per citare Rovazzi, tutto molto interessante. Ad esempio, le dichiarazioni dopo la prima alla Scala. In un'altra epoca Carla Fracci avrebbe ballato bene e poi taciuto; ora nulla la trattiene dal definire la Butterfly un'opera contro la pedofilia. In un'altra epoca Roberto Bolle avrebbe ballato bene e poi taciuto; ora nulla lo trattiene dal veder emergere nella Butterfly il suprematismo statunitense, con velato riferimento a Trump.
In un'altra epoca il soprano Maria José Siri avrebbe cantato bene e poi taciuto; ora nulla la trattiene dal somministrarci un'interpretazione secondo cui la Butterfly vuole comunicare a tutte le donne in difficoltà il messaggio di non mollare mai, nonché autobiografismi riguardo al fatto che anche lei è una donna tradita diventata madre, e bla bla bla su lei medesima che provava le stesse emozioni di Cio-Cio-San quando la figlia aveva tre anni ma ora che la figlia è cresciuta la porta con sé a teatro ed è la cosa più importante. Il cazzo che me ne frega, sempre per citare Rovazzi. La stupidità di quest'epoca è incardinata sull'incapacità di comprendere la distanza fra arte e vita; sul rifiuto dell'evidenza che, se l'arte è una struttura formale che cerca di rendere immortali moti d'animo cristallizzati, le nostre vite private sono in larga parte insignificanti e trascurabili patemi, importanti quanto un moscerino per l'astrofisica.
Ci illudiamo invece che la nostra vita abbia dignità artistica solo perché sappiamo usare i filtri di Instragram oppure perché c'è qualcuno pagato per trascrivere le nostre elucubrazioni; ci illudiamo che l'arte sia specchio e proiezione della nostra vita e come tale possa insegnarci una morale, consegnarci un messaggio. Nel racconto “L'amico devoto” di Oscar Wilde c'è un personaggio che all'inizio della storia domanda: “E la storia parla di me? In tal caso l'ascolterò con molta attenzione, perché mi piace la narrativa”. Il personaggio è un topo di fogna.