Il sessismo della parità di genere nel governo in Libano
Il nuovo governo libanese è in carica da una settimana ma già è sommerso da freddure sia sui social network sia sui giornaloni occidentali
Mi corruccia, mi turba e mi tormenta il sessismo in Libano. Avrete letto che dopo anni di caos s'è finalmente insediato un governo a Beirut e che, per la prima volta, è stato istituito un Ministero per gli Affari Femminili. Le donne, immancabilmente, hanno protestato: il motivo è che a ricoprire l'alto incarico è stato chiamato Jean Ogasapian, sessantenne armeno e baffuto dall'aria piuttosto accomodante. Maschio.
Il nuovo governo libanese è in carica da una settimana ma già è sommerso da freddure sia sui social network, dove basta un fotomontaggio col ministro in gonnella per sentirsi intelligenti, sia sui giornaloni occidentali, che danno per scontato che pari opportunità e derivati siano bottino di guerra delle donne. Questa reazione implica alcune questioni pratiche. L'obiettivo ultimo dell'eguaglianza politica fra i sessi non dovrebbe essere l'indifferenza che un ministro sia maschio o femmina? Destinare sempre una donna agli affari di genere non coincide col delimitare lo spazio politico femminile, come se le donne andassero confinate a occuparsi soltanto di cose da donne? Viceversa, c'è scritto da qualche parte che determinati ministeri debbano essere inaccessibili a qualcuno per il solo fatto che ha i baffi o un robo che gli pende fra le cosce?
Il governo libanese avrà mille difetti ma una donna c'è, al Ministero per lo Sviluppo; si occupa di affari che riguardano tutta la nazione e, per quanto poco, è qualcosa in più di una quota rosa.
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