E' vero che l'Università di Stanford protegge gli stupratori?
Nelle nuove regole interne per incolpare chi è accusato di violenza da una studentessa c'è un fondo di ragionevolezza
Stanford ha un vantaggio storico rispetto alle università dell'Ivy League: ha ammesso studenti e studentesse sin dalla fondazione, centoventicinque anni fa, mentre le signorine hanno dovuto attendere il 1969 per entrare a Yale o a Princeton e addirittura il 1981 per la Columbia. Rispetto agli stessi atenei, Stanford ha tuttavia uno svantaggio nella cronaca: è più complicato il sistema per incolpare uno studente accusato di stupro da una studentessa. Fino a poco tempo fa, se una studentessa si dichiarava vittima di violenza, veniva convocata una commissione interna di cinque membri e, se quattro di loro concordavano sulla colpevolezza, si procedeva all'espulsione dell'accusato; da quest'anno invece i membri saranno ridotti a tre ma, per riconoscere la colpevolezza, sarà necessaria l'unanimità.
Da qui è derivata la facile accusa sui tazebao studenteschi e sui titoli dei giornali: “Stanford protegge gli stupratori”. Ciò è singolare, in quanto Stanford è dotata altresì di una norma interna secondo cui i rapporti sessuali fra studenti sono ammessi solo in caso di esplicito consenso verbale della ragazza, e tale consenso viene reputato nullo se espresso in condizioni di ubriachezza; se ne deduce che a Stanford il metodo più efficace di abbordare una fanciulla sia proporle il test del palloncino. Ma sarà vero che Stanford protegge gli stupratori? Il motivo per cui l'accusatrice deve convincere più giurati dell'accusato onde comprovarne la colpevolezza è il mero principio della presunzione d'innocenza: altrimenti all'improvviso uno studente potrebbe vedersi costretto a persuadere tre, quattro, enne persone perché una studentessa lo accusa, magari dal nulla, magari per non averne previamente controllato il tasso alcolemico. Non è che protegge gli stupratori: Stanford vorrebbe evitare di trasformarsi in università per sole donne.