Tra Lutero e l'Epifania, la profezia di Papa Adriano VI che Francesco dovrebbe leggere
Perché gli improperi che Lutero rivolse 500 anni fa alla figura del Pontefice infangano ancora il Vaticano
Porco. Anticristo. Tosatore di greggi, spargitore di sangue, vergognoso tiranno. Lupo, leone e cane. Pervertitore della Sacra Scrittura. Empio e perverso bestemmiatore. Avversario di Cristo; deformatore di Cristo; crocifissore di Cristo. Sacrilego. Apostolo dell'Anticristo. Diavolo, Satana, Anticristo ignorante. Faccia da prostituta. Autore di ogni empietà, bestemmia, ignoranza, impudenza e ipocrisia; di frode e d'impostura. Briccone. Pestifero, odioso e corrotto. Ora non dico che l'Epifania, cinquecento anni dopo, debba far apparire e manifestare al Papa codesto florilegio d'improperi che Martin Lutero gli rivolse al tempo in cui riformava l'Europa; e nemmeno voglio stare a cavillare sul fatto che ai singoli Giulio II e Leone X Lutero si rivolgesse financo con deferenza, dichiarando di non nutrire nulla contro di loro individualmente bensì di riservare tutte le offese sopraddette al titolo stesso di Pontefice, e quindi per estensione anche a colui che regna oggi.
Mi basterebbe che a Papa Francesco, così affezionato all'anniversario protestante, si manifestasse l'apostrofe di Adriano VI: “Chi ha devastato la vigna del Signore? Chi, se non un cinghiale selvatico? Dobbiamo ringraziare te se le chiese sono senza fedeli e i fedeli senza preti, se i preti sono senza onore e i cristiani senza Cristo”. All'epoca sembrava una maledizione estemporanea; adesso sappiamo che era una profezia cinquecentenaria.