Il "diritto al gioco" vince su tutto
La storia dei genitori di Malo meriterebbe lo spazio di una pietra miliare nella giurisprudenza italiana. Di fronte ai propri, i diritti altrui non contano affatto
Breve in cronaca, la storia dei genitori di Malo meriterebbe lo spazio di una pietra miliare nella giurisprudenza italiana. I vigili urbani del comune vicentino hanno comminato una multa di centocinquanta euro ciascuno a quattro bambini sorpresi a giocare a calcio in un'area verde caratterizzata da un cartello che lo vietava espressamente, tramite un bel disegnino col pallone sbarrato in rosso. I genitori sono insorti: intendono non pagare la multa allo scopo di “tutelare il diritto al gioco” dei propri figli, hanno dichiarato. È un'interpretazione della giustizia perspicace quant'altre mai. Rivendicare infatti il diritto al gioco in presenza di un cartello che proibisce di giocare equivale a rivendicare il diritto a ciò che è vietato. Rivendicarlo sulla scorta del fatto che i bambini sono bambini sottintende che si ha diritto a esenzioni della legge in ragione di ciò che si è; siamo tutti casi particolari, chi per un motivo chi per un altro, ergo abbiamo tutti diritto a un codice civile personalizzato. Infine, i bambini giocando a pallone sollevavano polvere e facevano chiasso, disturbando quei maladensi che avrebbero voluto godere del riposo e della pulizia che la proibizione vigente nell'area verde avrebbe dovuto garantire loro. Rivendicare il diritto al gioco presuppone il riconoscimento del fatto che, di fronte ai propri, i diritti altrui non contano affatto.
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Le incoronazioni costano, scandalizzarsi no
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