Così l'Ue rischia di sacrificare il merito sull'altare dell'inclusione razziale

Antonio Gurrado

L'European Network Against Racism dice che Bruxelles recluta i suoi funzionari senza rispettare la parità per razza, etnia e religione

L’Unione europea è razzista perché la Commissione europea ha appena pubblicato una strategia volta a includere donne, anziani e lgbt nelle schiere dei funzionari impiegati negli uffici di Bruxelles. Questo almeno è il parere di Amel Yacef, presidente dell’European Network Against Racism (Enar), il quale ha pubblicato su Politico una denuncia dell’andazzo: la strategia comunitaria non prevede infatti – di fianco a quelle riservate a donne, anziani e lgbt – quote protette destinate sulla base di razza, etnia e religione. Sono curioso a questo punto di scoprire la reazione dei burocrati a questa rissa fra perseguitati; su quest’episodio apparentemente marginale si gioca secondo me un bel pezzo della concezione del nostro continente e delle sue istituzioni.

 

Se, come temo, Bruxelles acconsentirà ad aggiungere quote protette razziali, etniche e religiose a quelle già destinate a genere, età e orientamento sessuale, allora ci condanneremo a un futuro in cui emergeranno infiniti nuovi appelli acciocché l’Unione europea avvantaggi categorie sempre più capillari o sempre più balzane. In tal caso, Bruxelles diverrà sentina della rappresentanza di minoranze traboccanti, coccolate senza un preciso criterio di competenza. Se invece, miracolosamente, Bruxelles dovesse sbattere la porta in faccia all’Enar e approfittarne per rimangiarsi la strategia che favorisce donne, anziani e lgbt, limitandosi a selezionare i propri funzionari sulla sola base della bravura e dell’adeguatezza al compito cui sono chiamati, vorrà dire allora che trascorreremo i prossimi anni senza il rischio che le istituzioni, con la scusa codina dell’inclusione, ci discriminino sulla base di genere, età, orientamento sessuale, razza, etnia o religione.

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