I gay si separano, ma l'unione civile non era il paradiso dell'amore?
L’amore è amore, si diceva. Ma il matrimonio civile ormai è diventato l'anticamera dell'abbandono
Non sarà una notizia da prima pagina come invece è diventata, ma perché la fantasia è tanto colpita dalla prima separazione di una coppia omosessuale legatasi con unione civile? È questo il motivo: per anni la campagna arcobaleno si è fondata sull’equiparazione de facto fra tale nuovo istituto e il matrimonio, nonché sulla derivazione de jure del matrimonio dal solo sentimento dell’amore. L’amore è amore, si diceva, quindi indipendentemente dall’identità di chi si contraccambia deve essere garantito a tutti il diritto di portarlo a compimento convolando in giuste nozze. Ma il matrimonio civile, così com’è ridotto dopo la legge sul divorzio e successive facilitazioni, non sembra proprio la cassaforte più adatta alla conservazione dell’amore; sembra piuttosto un malfermo scivolo verso l’abbandono, irto di minacce e recriminazioni fra contraenti che si pongono l’un l’altro sotto tiro. La separazione, che al senso comune pare ormai accettabile e auspicabile proprio in ragione della volubilità del sentimento, è pertanto diventata la cifra inevitabile dello sposalizio; la separazione è l’invitata muta a tutti i matrimoni.
#Loveislove, ci avevano detto, magnificando che le unioni civili sarebbero diventate il paradiso di tutti gli amori; senza vedere che regolarizzare un rapporto con celebrante e testimoni e firme e festa grande significa certificarne la dissolubilità di fronte alla stessa legge che, subdola, la consente. Ecco il bel diritto per cui, carte alla mano, hanno combattuto inconsapevoli i fautori delle unioni civili; rinunziando, come lesivo del sentimento, a quel limbo in cui l’assenza della definizione del rapporto lasciava le coppie omosessuali al sicuro dalla minacciosa scadenza di un contratto che (con la scusa dell’amore) diventa sempre più a termine.