Le ingenue rivendicazioni dell'Isis e le parole dei musicisti
Dopo la strage di Las Vegas social network scatenati con lo Stato Islamico. Quando però gli artisti gettano nello stesso calderone ciò che è terrorismo islamico e ciò che non lo è, tutti pronti a ritwittare
Se l’Isis rivendica sparatorie alla rinfusa, siamo lesti a tacciare i suoi vertici di avvoltoi e ingenui. Si avventano sul sangue altrui e credono che siamo tanto rimbambiti da berci l’ipotesi che un sessantaquattrenne bianco del Nevada si affacci armato sulla platea di un concerto dopo essersi larvatamente convertito alla causa dell’islamismo, salvo poi suicidarsi come nemmeno il più pavido degli jihadisti. È un tentativo di assimilare la follia di Las Vegas agli attentati di Manchester o del Bataclan solo perché c’era un concerto in corso, gettando nello stesso calderone ciò che è terrorismo islamico e ciò che non lo è. Ma noi siamo svegli e sui social network provvediamo subito a sbertucciare l’Isis spargendo la voce che ha rivendicato a cazzo di cane questo e quello, il traffico sul raccordo anulare e le scie chimiche, il goal di Dzeko e la suocera petulante. Quando però le star della musica – come Jason Aldean, il cantautore country che ieri si stava esibendo un attimo prima della strage – dicono che è in atto una guerra dell’odio contro l’amore e contro la musica che lo canta; quando equiparano gli attentati di Manchester o del Bataclan alla mattanza di Las Vegas solo perché c’era un concerto in corso; quando per fermare l’odio lanciano l’hashtag #stophate gettando nello stesso calderone ciò che è terrorismo islamico e ciò che non lo è, non si tratta allora di una de-rivendicazione tanto ingenua quanto la rivendicazione dell’Isis? Solo che in tal caso ci mostriamo un po’ meno svegli e, sui social network, corriamo a ritwittare.
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Le incoronazioni costano, scandalizzarsi no
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