Un gatto dimostra come le università si siano trasformate in un asilo
La North Carolina State University ha permesso a una studentessa di portare a lezione il suo micio per supporto emotivo. La ragazza aveva minacciato di denunciare l'ateneo per discriminazione
Buonasera, sono un gatto americano e, in combutta con un cane romano, sto minando alla radice tutte le università del mondo e, di conseguenza, il senso stesso dell’identità culturale dell’uomo adulto. Del mio compare avete già letto su tutti i giornali: è il quadrupede per accudire il quale una signora ha ottenuto un permesso di lavoro dietro grave motivo familiare e personale. È significativo che il permesso le sia stato accordato dalla Sapienza, in quanto equiparando un animale a un familiare il mondo accademico riconosce implicitamente che la famiglia è un’istituzione ormai superata o quanto meno fluida, assimilabile a qualsiasi rapporto affettivo con persone, animali o (abbiate fiducia) cose.
Il mio caso invece è meno noto. Sono proprietà di una studentessa che ha ottenuto il permesso di portarmi ogni giorno a lezione e di tenermi con sé in aula per supporto emotivo. È significativo che il permesso le sia stato accordato dalla North Carolina State University, in quanto riconoscendo il diritto all’animaletto da asporto, il mondo accademico dichiara implicitamente che d’ora in poi qualsiasi richiesta di uno studente, balzana quantunque, sarà accolta per timore di venire accusati (come ha minacciato la studentessa) di discriminazione sulla base di razza, colore, religione, sesso, status familiare o nazione di origine. Sono solo un gatto quindi non so cosa c’entri la mia presenza in aula con razza, colore, religione, sesso, status familiare o nazione di origine; fatto sta che i professori della North Carolina hanno ottemperato e mi sono insinuato felinamente in quell’interstizio che separa l’università come luogo in cui si studia per diventare adulti dall’università come bambagia della regressione all’infanzia, all’amico immaginario.