Il colore della morte

Antonio Gurrado

A Mariano Comense si discute della tomba giudicata troppo colorata e così voluta dal compagno del defunto 

A Mariano Comense si discute da giorni sul senso della morte, convinti di star discutendo sul senso dell’amore. C’è questa tomba gialla e blu a bande diagonali, vistosa per volere del compagno del defunto, che non piace ad alcuni consiglieri comunali i quali richiamano al rispetto del decoro cimiteriale. Intricati sono i motivi del mancato apprezzamento. Il più superficiale, e di maggior successo sulla stampa, è che la variopinta sia una tomba dell’orgoglio omosessuale, e che come tale spicchi (voglia spiccare, debba spiccare) nel grigiore delle sepolture circostanti. È tuttavia incontestabile che la morte sia una livella anche per l’identità sessuale, ragion per cui una volta deceduti non ha senso l’orgoglio di essere omosessuale o etero più di quanto non ne abbia l’orgoglio di essere geometra o contrammiraglio. Il secondo motivo è che la tomba sia brutta, per il chiassoso accostamento cromatico e per la sensazione di difformità che la sua presenza postmoderna crea in un cimitero tradizionale.

 

Eppure basta fare quattro passi fra le tombe di fine Ottocento e inizio Novecento per rabbrividire alla vista di Cristi naïf che irrompono dal sepolcro infranto di un qualche commendatore, gruppi scultorei familiari ritratti a memoria imperitura con l’abito della festa, obelischi mignon, contenute piramidi private: saranno stati tanto meglio, all’epoca? Il terzo infine è che la morte sia cosa seria, e non possa essere trattata in modo sgargiante. La morte però è neutra, e assume il colore di cui la rivestiamo: può essere eroica o ignominiosa, serena o squallida, straziante o addirittura consolatoria. A Mariano Comense non si discute dei colori dell’amore ma di quelli della morte. Ci si sta, in realtà, domandando: di fronte alla tomba di una persona cara, vogliamo sentirci comunicare il rimpianto di averla persa o la gratitudine per averla avuta?

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