The Place è un film cattolicissimo. Per questo deve sperare nel mercato estero
L'ultima opera di Paolo Genovese non è adatta all'Italia, una nazione sedicente cattolica, talmente refrattaria alla responsabilità individuale da credere che, se uno è cattivo, non possa farci niente
Spoiler: "The Place" è un film tomista, molinista, insomma cattolicissimo. Giova sottolinearlo in tempi di entusiasmi per il cinquecentesimo anniversario della Riforma. Come tutti sanno, il film di Genovese è interamente ambientato sul fondo di un bar sempre aperto dove Valerio Mastandrea riceve postulanti: ciascuno gli confida il proprio desiderio più disperato e lui gli assegna un compito più o meno arduo per ottenere di realizzarlo. I teologi demodé intuiranno che, caso raro, siamo di fronte a un film sulla grazia sufficiente: ovvero sul fatto che l'azione umana è il fattore decisivo ai fini della salvezza, rispetto all'opportunità che Dio concede a tutti.
Mentre i postulanti riferiscono gli eventi, Mastandrea li appunta come scolii su un'agenda già scritta: le loro azioni si collocano in una trama già composta ma che tutti ignorano, perfetto simbolo del paradossale rapporto fra prescienza divina e libero arbitrio dell'uomo. Inoltre, come certifica il Vangelo, nel film nessuno è buono. Chi accetta di compiere un'azione malvagia può finire a far del bene, mentre chi riceve in compito una buona azione rischia di finire comunque a fare del male. Ogni atto libero si colloca oltre la comoda distinzione fra buoni e cattivi, fra una ristretta schiera di eletti e una massa damnationis rassegnata. E' un film sull'irrevocabilità della responsabilità individuale. Di fronte al compito assegnato, ciascun postulante è libero di rifiutarsi o di recedere in qualsiasi momento. Le azioni buone o cattive non vengono determinate da nessun condizionamento; non è mai colpa della società né del destino cinico e baro, ognuno decide cosa fare ed è solo di fronte alla propria scelta senza paraventi. Sarà per questo che, mentre mi entusiasmavo trattenendomi a stento nella poltrona del cinema, i tizi seduti dietro di me bofonchiavano delusi e il mio casuale nonché sconosciuto vicino se la dormiva per tre quarti d'ora, probabilmente sognando i supereroi della Justice League. “The Place” deve sperare nel mercato estero. Non è un film per una nazione talmente refrattaria alla responsabilità individuale da credere che, se uno è cattivo, non possa farci niente: una nazione sedicente cattolica che, pur di trovare scuse alla propria indolenza spirituale, protestantizza e luteraneggia.
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