L'arte e il confine col sacro

Antonio Gurrado

Una video performance mostra delle persone nude giocare a rimpiattino nella camera a gas del lager nazista di Stutthof. Non è solo inutile, ma anche dannosa

Tutta l’arte è completamente inutile, secondo l’asserto di Oscar Wilde, ma poca arte riesce davvero nell’intento di essere dannosa. È il caso di “Game of tag”, una video performance di Artur Zmijewski del 1999 che mostra un gruppo di persone nude mentre gioca a rimpiattino nella camera a gas del lager nazista di Stutthof, in Polonia. Se ne parla oggi perché solo adesso un esame comparativo delle macchie sui muri col video della visita dei duchi di Cambridge allo stesso luogo ha reso possibile capire, a quasi vent’anni di distanza, dove di preciso fosse stato girato il video. Non si tratta di imbastire un predicozzo per dire che si è perso il senso della misura, che non c'è più rispetto, che siamo arrivati alla fine della storia e che non si gioca a rimpiattino nelle camere a gas. Sono considerazioni talmente ovvie che non ci dovrebbe essere motivo di stare a ricamarci col ditino alzato. Il danno compiuto da quest’opera, pure brutta, è alla libertà di espressione, ossia al motivo con cui gli allestitori che hanno esposto il video hanno poi tentato di giustificarlo. Addentrandosi nel campo dell’indicibile, anzi dell’infattibile oltre che dell’incomprensibile, “Game of tag” rischia di far crollare definitivamente il confine col sacro che per millenni è stato il limite e l’aspirazione dell’arte. Ci sono due conseguenze possibili. O si deciderà che è tempo di emanare una lista di argomenti su cui non ci si deve esprimere creativamente, dalla Shoah in giù, e allora l’arte non sarà più in grado di dire niente di significativo. O si deciderà definitivamente che in nome della libertà d’espressione sarà possibile giustificare come arte qualsiasi stronzata sacrilega, e allora l’arte non sarà più in grado di dire niente di significativo.

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