Perché alla fine la libertà di genere è solo una questione di interessi
Il caso del conte di Balfour, che per assicurare la linea di successione spera che una delle sue figlie si dichiari uomo
Macché Meghan, occhio a Willa. Il rinomato pragmatismo della nobiltà inglese ha appena messo a segno un colpo di cui bisogna essere grati a Lord Roderick Francis Arthur, quinto conte di Balfour. Se la Regina può vantare un nipote moderno che sposerà una divorziata americana, Lord Balfour potrà vantare una modernissima figlia che, alla morte del padre, si dichiarerà uomo. Visto che il peerage, ossia il titolo nobiliare con annessi possedimenti, può venire trasmesso solo agli eredi ma non alle eredi, basta che in quest’età di generi sanciti autocraticamente la primogenita Willa Anne Balfour riveli di essersi sempre sentita maschio e il gioco è fatto. Non dovesse riuscirci lei, potrebbe provvedere la secondogenita Kinvara Clare, poi la terzogenita Maria Alice Jubilee o, alla peggio, l’ultimogenita Candida Rose che avendo passato i trenta può ormai essere considerata un uomo maturo. La legge inglese consentirà infatti a breve il cambio volontario di genere senza controlli medici, pertanto l’identità sessuale dipenderà dall’arbitrio individuale.
Lord Balfour difende legittimamente i propri interessi e, per quanto possa apparire peloso, il suo ragionamento è ideologicamente inattaccabile. Se il sentirsi maschio o femmina è a insindacabile parere dell’interessato, altrettanto insindacabili devono esserne le motivazioni. Per questo bisogna essere grati al sornione nobiluomo: il suo stratagemma ha il pregio di smascherare che dietro le moderne conquiste della libertà, spacciate per alti ideali, c’è sempre e soltanto l’interesse, e che pertanto la modernità è antica e ipocrita. Ci voleva un nobile per capirlo.
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