Ma la magistratura è contro la cultura?
Il Consiglio di Stato vieta al Politecnico di Milano di tenere corsi esclusivamente in inglese. Obiettivo: tutelare il primato dell'italiano. Ma in questo modo si crea un'università malata di provincialismo
Ma la magistratura è contro la cultura? Il Consiglio di Stato ha disposto il divieto di tenere corsi presso il Politecnico di Milano esclusivamente in lingua inglese, ribadendo il primato della lingua italiana (di ciò sarà contenta l'Accademia della Crusca), la libertà d'insegnamento (di ciò saranno contenti i docenti che masticano poco le lingue straniere), il principio di uguaglianza (non fra lingue diverse, però) e il diritto allo studio (che ci sta sempre bene come contentino per eventuali fuori corso esagitati). Bene, ciò pone fine a una diatriba durata cinque anni a colpi di ricorsi. Se non che la sentenza sottostima alcuni elementi. L'Università è da sempre un'istituzione sovranazionale, che rivolge i propri corsi al mondo e deve preparare i propri alunni al mondo, utilizzando il linguaggio che ogni scienza reputa più confacente: studiare Petrarca a Milano in inglese probabilmente è inutile, ma studiare in inglese ingegneria informatica o design è molto più utile che farlo in italiano.
Se qualche secolo fa la magistratura avesse disposto il divieto di tenere corsi universitari in latino, non ci sarebbe stata la cultura comune europea, che sarebbe stata dispersa in mille rivoli: Erasmo da Rotterdam non avrebbe potuto laurearsi a Torino, né i grandi maestri della Scolastica avrebbero potuto circolare fra i principali atenei del continente come se fossero fuoriclasse brasiliani contesi dalle migliori squadre di calcio. L'Università deve parlare un linguaggio universale; in Italia non lo fa e per questo è spesso malata di provincialismo abietto. Impedire al Politecnico di tenere corsi magistrali esclusivamente in inglese significa costringere gli ingegneri a barcamenarsi in un italiano approssimativo, in cui molti termini tecnici verranno ricalcati sull'inglese apponendovi desinenze e concordanze a capocchia; significa istigarli, insomma, a pronunziare obbrobri come "bisogna brandizzare", "ho appena realizzato", "sono confidente che ce la farai". Di questo l'Accademia della Crusca dovrebbe essere molto meno contenta.