"Lascio il Parlamento, non la politica", dice il pentastellato postando una foto col figlio su Instagram. Sulla parete alle sue spalle è appeso un portafortuna. Che ci dice tante cose del grillismo
È la festa del papà e ci tengo a fare gli auguri ad Alessandro Di Battista, che per amore di suo figlio ha rinunciato a far parte delle truppe pentastellate che questa settimana s’insedieranno nelle nuove Camere: “Lascio il Parlamento ma non la politica”, ha scritto sui social. Se non che fra le foto che ritraggono papà Dibba col pargolo una ne spicca sul cui fondo, appeso al muro di casa, campeggia un ferro di cavallo. Le possibilità sono due: se uno appende un portafortuna, o ci crede o non ci crede. Se ci crede, vuol dire che è superstizioso - ovvero che ha problemi col principio di causa effetto, quindi confonde la semplice giustapposizione cronologica degli eventi (post hoc) con la concatenazione causale (propter hoc). Se ci pensate, senza bisogno di scomodare l’autismo vaccinale né le scie chimiche, anche i più complessi ragionamenti di Beppe Grillo si reggono su questo: siccome aumenta l’occupazione e siccome ci sono i poveri, allora vuol dire che trovare lavoro non serve a uscire dalla povertà, quindi bisogna incassare un vitalizio dalla nascita. Questa l'ha detta ieri, ma in genere sono cose così. Oppure uno appende un portafortuna in casa perché non ci crede ma perché non si sa mai, è usanza, in Italia fanno tutti così. Se ci pensate, la pratica politica dei grillini consiste proprio nell’adesione a un manifesto che dia un crisma di ufficialità a ciò che dicono tutti, in maniera tale che tutti possano trovarsi d’accordo. Il ferro di cavallo appeso a casa Di Battista è il segnacolo del fatto che, anche ritirandosi a vita privata, l’ideologia a Cinque stelle non l’abbandona: forse intendeva questo, dicendo che lasciava il Parlamento ma non la politica.