La felicità non è questione di sesso, ma di fede
La polemica per le parole pronunciate dal vescovo di Pavia sugli omosessuali dovrebbe indurre ad allargare lo sguardo sulla nostra ricerca dell'assoluto
Gran polemiche, in una località vivace qual è Pavia, perché il vescovo avrebbe detto a degli studenti che un omosessuale non potrà mai essere felice. L’Arcigay pavese ha prontamente accusato il vescovo di omotransfobia – e già qui non si capisce cosa c’entrino i trans o, se c’entrano, perché il vescovo non sia accusabile anche in nome di bisessuali, intersessuali, queer, cisgender e asessuati. Il vescovo oggi ha smentito su un quotidiano locale, ribattendo di non avere mai detto che un omosessuale non possa essere felice e spiegando anzi di essere stato frainteso.
Io non sono vescovo di Pavia, né aspiro a diventarlo, ma ne avrei approfittato per esprimere tre ammonimenti molto più utili di tutti i contributi barbosi a questa sterile polemichetta. Non sarai mai felice se ridurrai la tua identità alla mera appartenenza a un genere o a una preferenza erotica, sia tu omosessuale o etero o triolista o apraxofilo o quel che ti pare: così avrai una visione parziale della tua complessità e sentirai sempre che ti manca qualcosa. Non sarai mai felice se aspetterai di realizzarti grazie all’amore di un uomo, o di una donna, di un animale, di un comodino o di quel che ti pare: così non avrai mai requie ma sarai appeso agli altrui sentimenti, emozioni, arbitri e capricci. Non sarai mai felice se pretenderai di trovare in te stesso il senso della vita, perché tu sei relativo e contingente mentre hai bisogno di qualcosa di assoluto e trascendente: a dartelo non sarà di certo l’erotismo né il romanticismo né la militanza ma caso mai la fede. Più di ogni precetto sessuale, nella Bibbia è scritto “Guai all’uomo che confida nell’uomo”: non è omofobia, è divina misantropia.