La memoria dei grandi autori italiani e lo Stato che latita
Non c'è un coordinamento nazionale per la difesa della storia della letteratura italiana. Ma la verità è che le istituzioni nazionali non possono far niente. Per due motivi
Lo Stato è assente, lamentava l'indimenticato professor Pazzaglia. Lo Stato latita anche quando si tratta di tutelare la memoria dei grandi autori italiani conservandone gli archivi, fa notare Paolo Di Stefano sul Corriere. I casi del momento sono l'intitolazione del Lazzaretto di Milano a Giovanni Raboni e il destino della sterminata biblioteca di Umberto Eco ma il problema è più vasto e incancrenito: a differenza di Francia o Germania, in Italia la testimonianza dei grandi autori passati è lasciata a istituzioni magari ottime (altre così così) ma di carattere o gittata circoscritti, senza un coordinamento nazionale per la difesa della storia della letteratura italiana. Del resto lo Stato non fa niente perché non può far niente, per due motivi. Lo sapete come siamo fatti. Preservare la memoria dei grandi autori implicherebbe una selezione ma immantinente sorgerebbe chi ne contesta i criteri: qualcuno rivendicherebbe l'imprescindibilità dell'autore su cui fa ricerca, qualche altro dirà che se si onora un autore di sinistra o cattolico è necessario onorarne anche uno di destra o ateo, quell'assessore sponsorizzerebbe tutti gli autori nativi del proprio agro, quella madama salottiera rispolvererebbe i faldoni coi taccuini dello zio, e così l'intenzione di preservare la gloria degli autori massimi finirebbe per includere anche i medi, poi i minimi, quindi gli impercettibili e infine gli improponibili, trasformando un forte investimento pubblico in tante elemosine elargite a ogni crocicchio. In secondo luogo, perché lo Stato possa effettivamente onorare la memoria degli autori patri, bisogna presupporre che tutti gli italiani leggano. Invece scrivono.
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Le incoronazioni costano, scandalizzarsi no
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