“Ho realizzato il mio sogno di ammazzare una persona”
Quegli adolescenti veronesi che hanno dato fuoco a un senzatetto e la storia autobiografica che ci raccontiamo, e di cui vogliamo diventare protagonisti
La storia degli adolescenti veronesi che hanno dato fuoco a un senzatetto sembra replicare la trama di un crudelissimo romanzo Neri Pozza, “La cena” di Herman Koch. Al concetto ipocrita di scherzo sfuggito di mano, che accomuna il fatto di cronaca alla trama, i due ragazzi hanno però aggiunto un elemento inatteso: il sogno. “Ho realizzato il mio sogno di ammazzare una persona”, si legge nelle conversazioni trascritte agli atti dagli inquirenti. Di là dal peso che queste parole avranno sul giudizio, colpisce l’automatismo lessicale del sogno realizzato, un topos che scandalizza i benpensanti ma che è in tutto coerente con la retorica sociale che l’Italia s’è costruita negli anni recenti: quella della visione, della narrativa, del vagheggiamento di una meta che quanto più è irraggiungibile tanto più ti sprona a rivendicare il diritto di conseguirla. Ti diplomi ragioniere, ti compri la Gilera, partecipi ad Amici, ti costruisci la piscina, tiri un rigore a San Siro, ti sposi, diventi deputato, vai da Cracco eccetera non più per il valore di queste azioni in sé ma per realizzare un sogno all’interno dell’incredibile storia autobiografica che ti racconti e di cui vuoi essere sempre più protagonista irrefrenabile; e ti sorprendi quando pensi al corpo incenerito del senzatetto di Verona e ti accorgi che in ogni sogno che realizzi c’è materiale a sufficienza anche per un incubo altrui.