In difesa della tanto odiata terza prova
L'ultimo anno del quizzone agli esami di maturità, il test che con le sue domande secche ammette solo risposte giuste o sbagliate, senza supercazzole
Ode alla terza prova dell'esame di maturità che, dopo vent'anni di onorato servizio, va in soffitta quest'oggi. Sovente vilipesa come quizzone, dileggiata come anacronistica, temuta per la sua arbitrarietà e (secondo alcuni) intrinseca ingiustizia, la terza prova è vittima di una lettura malevola e parziale che ne ha decretato la fine a furor di popolo. Peccato. Era invece un baluardo contro la specializzazione più ottusa, perché metteva sullo stesso piano quattro materie afferenti a diverse aree disciplinari stimolando gli studenti a un minimo di poliedricità; serviva a distinguere il grano dal loglio, perché imponendo risposte di dieci righe proibiva intrinsecamente supercazzole e baccagli; manteneva un senso catechistico della didattica perché, mentre ci si espande verso un sempre maggiore margine di libera interpretazione da parte dei candidati, le domande secche della terza prova erano scudisciate che ammettevano solo risposte esatte o sbagliate e poche chiacchiere. La terza prova è stata l'ultimo vessillo inalberato dal nozionismo o, meglio, dalla convinzione che il nozionismo potesse tornare utile: perché sottintendeva che solo avendo imparato con abbondanza e precisione si potesse argomentare con convinzione solida e concisa. Lascia, inconsolabile, il timore di un lontano futuro dell'istruzione in cui tutte le risposte saranno esatte e, in quanto tali, sbagliate.