Quei centoquarantatré tondini di ferro per costruire una chiesa in Albania
La comunità di Don Fiocchi a Pukë e il comandamento di amare il prossimo
Centoquarantatré tonnellate di tondini di ferro per strutture in cemento armato, dal valore commerciale di circa settantamila euro, sono partite l’altro giorno da Cremona e arrivate a Pukë, paesino all’interno dell’Albania, più o meno all’altezza di Scutari e di Vasto. Servono a costruire una chiesa. Da vent’anni infatti il parroco di Pukë è un sacerdote cremonese, don Fiocchi, che finora s’è arrangiato con strutture provvisorie e prefabbricati a mo’ di cappella e oratorio. Ora che potrà essere costruita una chiesa in muratura, rifulge il senso della scelta balzana che nel 1998 lo portò a chiedere all’allora vescovo di essere mandato a servire in Albania. C’erano stati la guerra civile, gli sbarchi in massa sulle coste pugliesi, il regime comunista persecutorio verso i cristiani, secoli di vessazioni da periferia dell’impero ottomano. Don Fiocchi dovette attendere un anno prima di ricevere il permesso di trasferirsi in questa terra che, come tutti, conosceva superficialmente ma verso cui si sentiva in dovere. Lo contrastava l’idea che la missione riguardasse luoghi lontani ed estranei, non familiari e a portata di mano; ma il comandamento di amare il prossimo, in effetti, non dice di amare l’umanità in generale o a distanza di sicurezza, ché sono bravi tutti, ma di pensare ciascuno a chi ha vicino. L’Albania è abbastanza vicina, la distanza in linea d’aria fra Otranto e Valona è ridicola, da Tirana a Bari ce la si cava con una mezz’ora d’aereo. Le centoquarantatré tonnellate di tondini di ferro sono un investimento, vediamolo così: un domani l’Albania potrebbe essere una concreta base di lancio per cristianizzare l’Italia.
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