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Perché i vincitori morali di questi Mondiali siamo stati noi italiani

Antonio Gurrado

Essere italiani è bello perché riserva sempre l’opzione di sentirsi un po’ stranieri e quest’ammonimento vale soprattutto per i neofiti del patriottismo, i sedicenti sovranisti

Ora che sono terminati, possiamo finalmente dichiararlo: i vincitori morali di questi Mondiali siamo stati noi italiani, che alla sparizione della nostra nazionale dal globo calcistico abbiamo reagito immedesimandoci nelle nazionali altrui e scoprendo nei nostri cuori ragioni per dichiararci temporaneamente francesi o croati o uruguaiani o belgi o inglesi o addirittura tedeschi, adeguandoci in modo repentino agli aggiornamenti imposti dalle progressive eliminazioni nonché approfittandone per proclamarci di volta in volta antifrancesi, antitedeschi, antinglesi, antibelgi o addirittura antiuruguagi o anticroati.

 

Dare sfogo alla nostra polifonia identitaria ci è piaciuto e ci siamo divertiti per un mese, e non c’è nulla di male visto che tale è stata la cifra dell’italianità come minimo dal 1494, quando Lodovico il Moro chiamò a Milano Carlo VIII di Valois, al 1860, quando le navi britanniche ormeggiate in Sicilia fecero da scudo a Garibaldi. Per non parlare della breve parentesi postunitaria. Essere italiani è bello perché riserva sempre l’opzione di sentirsi un po’ stranieri e quest’ammonimento vale soprattutto per i neofiti del patriottismo, i sedicenti sovranisti. Visto che per affermare la nostra identità nazionale, nel giro di due anni, saremmo dovuti ricorrere prima al modello Brexit, poi al modello Trump, poi al modello Le Pen, poi al modello Orbán, poi al modello Kurz-Seehofer e infine a un immaginario modello Perisic, possiamo dire senza tema di smentita che in Italia perfino i sovranisti più accesi spiccano per esterofilia.

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