Col caso Diciotti la Chiesa torna a essere un Impero nell'Impero
I migranti accolti in una comunità religiosa e quei politici che si interrogano sui rischi per il potere secolare
Imperium in Imperio – ossia uno Stato nello Stato – era la preoccupazione con cui i romani accoglievano l’antico attecchire nei loro territori del Cristianesimo, religione ben strutturata e gerarchizzata in una Chiesa la cui organizzazione poteva competere con quella politica, come infatti a lungo andare fu. La notizia ora che gl’immigrati scesi dalla nave Diciotti non saranno diretti solo in strutture di Stati europei ma anche in una comunità religiosa conferma che i romani avevano visto giusto e che, quando funziona, la Chiesa sa essere un Impero nell’Impero; nel senso però che, come in questo caso, sopperisce alle mancanze degli Stati mettendosi sul loro piano nell’assumere responsabilità che rifiutano. Si può essere o non essere d’accordo con l’operazione – specie adesso che il Cattolicesimo s’è ridotto da obbedienza e fervore a opinionismo d’occasione – però il dato di fatto è questa concretezza: se un politico è cattolico, deve riconoscere alla Chiesa il pieno e auspicabile diritto a intervenire nelle faccende degli Stati con autorità secolare, a fin di bene. Se invece un politico reputa che l’azione diretta della Chiesa sia un rischio per la sfera politica, e che i preti meglio farebbero a ritirarsi in un empireo di breviari e spiritualità astratta, la questione non è se questo politico possa o meno proclamarsi cattolico: poco conta; conta piuttosto che dovrebbe essere coerente e, per salvaguardare l’indipendenza dello Stato da ciò che la Chiesa può fargli di male, rinunciare anche a tutto ciò che la Chiesa può fargli di bene.
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